Big Bang ed
espansione dell'universo
La teoria del Big Bang
deriva dall’analisi delle equazioni di Albert Einstein, il quale era convinto
che l’universo fosse statico e immutabile nel tempo. Nel 1912 Vesto Slipher
misurò l’effetto doppler (tale effetto verrà spiegato più avanti nel paragrafo)
di una nebulosa, e si accorse che essa si stava allontanando dalla Terra.
Successivamente Edwin Hubble fece una delle più importanti scoperte del secolo,
cambiando nuovamente la concezione dell’universo: le galassie sono in
espansione. Tutto questo venne elaborato dal sacerdote cattolico belga, Georges Lemaître, il quale ipotizzò che non
fossero le galassie ad espandersi, ma lo spazio stesso. Ciò fece ipotizzare che
in un tempo passato tutta la materia dell’Universo doveva in qualche modo
essere unita nel solito punto. Da qui nacque la teoria del Big Bang, la quale
tutt’oggi è la più condivisa da gran parte della comunità scientifica. Ma
vediamo in dettaglio quello che (probabilmente) è accaduto:
Tutto è iniziato circa
13,7 miliardi di anni fa, in seguito “all'esplosione” più grande della storia.
Prima di quel momento tutta la massa e energia dell'universo erano raggruppate
in un punto di densità infinita (singolarità), dove il tempo e lo spazio ancora
non esistevano. L'inizio del tempo, infatti, è da attribuirsi a 10-43
secondi dopo il Big Bang, misura minima dettata dalla costante di Planck, sotto
la quale non ha più senso andare. Quindi non ha senso parlare di prima del Big
Bang, poiché il prima e il dopo sono concetti temporali, che in assenza di
tempo perdono di significato. Ormai la scienza dà per appurato la
veridicità di tale evento; ma come hanno fatto i fisici a dedurre un
avvenimento così particolare, in una data così remota? La risposta risiede
nelle onde elettromagnetiche, e nella possibilità di misurare le loro
caratteristiche. I parametri per descrivere un onda sono: ampiezza, durata di
periodo, frequenza, intensità. A noi interessa la frequenza. La distanza in cui
le due creste delle onde si susseguono è la durata del periodo, minore sarà
questa durata maggiore sarà la frequenza. Le onde che hanno frequenze altissime
sono raggi gamma o raggi x e gli ultravioletti, quelle con una frequenza media
sono la luce visibile e gli infrarossi, mentre le microonde e le onde radio
sono a bassa frequenza. Per analogia anche il suono che emana una Ferrari è un
onda. Immaginatevi, dunque, che un bolide del genere si stia avvicinando a noi.
Inizialmente il suo suono sarà molto acuto, mentre una volta passata la linea del nostro
orecchio, il suo suono si appesantirà. Nel primo caso le onde avevano alta frequenza,
mentre nel secondo molto bassa. Ora, noi sappiamo che la galassie che sono
nell'universo mandano a noi onde elettromagnetiche (in quanto anche la luce è
un onda elettromagnetica), quindi grazie alla conoscenza della loro frequenza,
gli astronomi hanno potuto capire se si stessero allontanando dalla nostra
galassia, oppure se si stessero avvicinando. Il risultato fu, non solo che le
galassie si stavano espandendo, ma anche che la loro velocità di espansione
aumentava proporzionalmente. Quindi a rigor di logica se una galassia nel
presente si sta allontanando, e nel futuro sarà sempre più lontana, ciò
significa che nel passato dovevano essere tutte più vicine. Se ne deduce che in
un tempo finito del nostro passato, tutte le galassie erano concentrate in un
unico punto di densità infinita.
All'origine: una fluttuazione quantistica?
Secondo
la teoria del Big Bang, inizialmente, tutta la massa e l’energia dell’Universo
dovevano essere raggruppate in un punto infinitamente piccolo. Ciò è in
contrasto con tutte le leggi fisiche, e, in questo caso, anche le equazioni di
Einstein perdono di significato. Ultimamente, però, è stata proposta una nuova
teoria che avrebbe l’onere di evitare la singolarità iniziale: la fluttuazione
quantistica del vuoto.
Tutto ebbe
inizio dove non c’era spazio né tempo; dove l’Universo che conosciamo non
esisteva: tutto era fermo, immobile. Il tempo non scorreva, poiché non aveva
ancora avuto origine, e lo spazio non aveva ancora fatto la sua comparsa. Tutto
ciò può sembrare assurdo, in quanto ogni evento che accade, presuppone
dell’esistenza di uno spazio e di un tempo, ma per la fluttuazione quantistica
le cose vanno diversamente. Ammettiamo l’esistenza di un campo diverso da
quello spaziotemporale, antecedente al nostro Universo. Questo campo può essere
tranquillamente espresso attraverso un formalismo matematico, ma è difficile da
immaginare. In ogni punto di questo campo scalare, l’energia dovrebbe fluttuare
intorno ad un valore medio che è 0. Da ciò si evince che l’energia si potrebbe
creare dal “nulla”, e nel nulla dovrebbe ritornare. Ora, si potrebbe obbiettare
che secondo il primo principio della termodinamica “l’energia non si crea e non
si distrugge”, e che la legge della conservazione dell’energia presuppone che
essa, in seguito ad una trasformazione, risulti identica a quella di partenza.
Ma in entrambi i casi la fluttuazione quantistica rispetta le leggi. Infatti,
l’energia “creata” dalla fluttuazione, oscilla intorno ad un punto di energia
0, ed esiste in un intervallo di tempo talmente piccolo che non si fa notare
dalla natura, anzi in quell’ambito diventa una regola. Inoltre l’energia
iniziale 0 si trasforma in un piccolissimo quantitativo di energia, che torna
subito ad essere uguale a 0, il che avviene in accordo con il principio della
conservazione dell’energia. Dunque le fluttuazioni quantistiche rispettano
tutte le leggi della fisica; ma come fanno a creare l’Universo? Una iniziale
inflazione, avrebbe potuto ampliare notevolmente gli effetti quantistici,
determinando la loro influenza nel macromondo. L’inflazione, infatti, è un
periodo successivo al Big Bang, in cui lo spazio si dilata talmente tanto, che
il diametro un protone diventa, in un istante, grande come quello di una palla
che si trova a metà strada tra una biglia e un pallone da basket. In questo
modo un effetto quantistico (la fluttuazione) che agisce in luoghi
infinitamente piccoli, diventa parte del macromondo, e da vita
all’Universo.
Espansione delle galassie o spazio in espansione?
L'idea di spazio è
molto difficile da comprendere in termini cosmologici e le prove sperimentali
oggi ci dicono che non si può parlare di galassie in espansione, ma di
espansione dello spazio. Ovvero non sono le galassie che si allontanano l'una
dall'altra, ma è lo spazio stesso che si espande, facendo allontanare le
galassie. Hubble, infatti, non scoprì solo che le galassie si stavano
allontanando, ma scoprì anche che si allontanavano tutte dalla nostra. Infatti,
essendo lo spazio ad espandersi, e non
le galassie, possiamo renderci conto di come ognuna si possa allontanare dalle
altre, senza il bisogno di un centro di espansione. Considerate un palloncino
che rappresenta lo spazio, con attaccati tanti pallini di carta che
rappresentano le galassie; se gonfiate il palloncino, automaticamente i pallini
si allontanano l'uno dall'altro. Analogamente questo avviene con lo spazio in
espansione. Quindi in qualsiasi punto dell'universo in cui andremo, vedremo
tutte le galassie allontanarsi da noi, quando in realtà è solo lo spazio che si
dilata.
Storia dell'universo
10-43 secondi
dopo il Big Bang l'universo in espansione raffreddava la sua temperatura. In
questo istante l'equilibrio materia-antimateria si spostava in favore della
materia. Un centesimo di secondo dopo l'esplosione, la temperatura era minore
di cento miliardi di gradi. e l'universo era formato da fotoni, elettroni,
neutrini e le loro antiparticelle, in più vi erano anche qualche protone e
neutrone. Nei successivi tre minuti le particelle si unirono a formare i nuclei
degli atomi più leggeri come l'elio e l'idrogeno. Centinaia di migliaia di anni
dopo gli elettroni avevano rallentato a tal punto da essere catturati dai
nuclei degli elementi, poiché la temperatura era scesa a qualche migliaia di
gradi. Non esistevano, però, gli elementi più pesanti come il carbonio e
l'ossigeno, i quali vennero formati successivamente dalla fusione degli
elementi nelle stelle. Un miliardo di anni dopo il
Big Bang, ammassi di materia si unirono a formare stelle, proto-galassie, e
quasar. 15 miliardi di anni dopo si formarono i sistemi solari nelle galassie e
gli atomi si aggregarono formando molecole complesse di forme di vita.
L’universo è infinito?
In seguito alle
precedenti considerazioni abbiamo stabilito che lo spazio e il tempo si sono
creati al momento del Big Bang. Questo ci porta a considerare che l’universo in
termini di materia (galassie, stelle, pianeti..) è finito. Quindi ogni cosa che
esiste nell’universo può essere numerata. Il problema è che se consideriamo lo
spazio in espansione, dobbiamo asserire che si espanda dentro qualche cosa,
magari un grosso contenitore. Però dove sta questo contenitore? Forse dentro un
altro contenitore, che a sua volta sta in un altro e così via? Le cose non
funzionano così. Infatti, sia lo spazio che il tempo, sono stati creati al
momento del Big Bang, e ciò significa che durante la sua espansione, è
l’universo stesso a creare lo spazio. È come se le dimensioni in cui ci
muoviamo siano determinate dall’universo stesso. Quindi al di là dei confini
del cosmo non esiste spazio né tempo, perché essi sono determinati
dall’universo. Perciò potremo dire che non esiste nemmeno un al di là dei
confini, poiché quello che noi conosciamo (spazio e tempo) sono concetti che si
trovano dentro all’universo, e non fuori.
In definitiva possiamo dire che l’universo è finito, e lo spazio in cui
si espande, è la sua stessa espansione.
Come nascono le
stelle?
Le galassie a spirale
come la nostra via lattea presentano una particolarità. I suoi bracci ruotano
più velocemente dei gas, degli ammassi e delle stelle, per effetto della forza
gravitazionale; ciò comporta la chiave per la formazione degli ammassi
stellari. Prima che si formassero le stelle, infatti, l'Universo era formato da
gruppi di nebulose, unite per effetto della gravitazione. Queste nebulose erano
composte da atomi liberi. Ogni volta che questi atomi sono rimasti intrappolati
dai bracci della nostra galassia, si sono iniziati a comprimere, formando dei
singoli ammassi. Questi ammassi sono diventati sempre più grandi e nel loro
centro la compressione si stava intensificando. Scontrandosi l'uno contro
l'altro, gli atomi, rimanevano intrappolati dentro queste enormi strutture, e
la pressione esercitata iniziò a far fondere i nuclei. A questo punto le
proto-stelle formate da atomi di idrogeno, iniziavano a fondere i propri nuclei,
trasformando letteralmente la materia. In pratica vi era talmente compressione
e temperature elevatissime che gli atomi si fondevano passando da un nucleo
formato da 1 protone e 1 neutrone (idrogeno) a 2 protoni e due neutroni (elio):
lo stesso meccanismo di reazioni che avviene durante l’esplosione della bomba
H. Ma allora perché tutto il materiale non esplodeva? Semplicemente per effetto
della pressione esercitata dagli atomi esterni che fanno da coperchio.
La nascita del
Sistema Solare
Attualmente l’ipotesi
più accreditata sulla formazione dei pianeti prende il nome di disco
proto-planetario.
Tutto ebbe inizio in seguito
all’esplosione di una o più supernove; il materiale detritico iniziò a
collassare verso il centro di massa per effetto dell’autogravità. Man mano che
la nube si condensava, il Sole ebbe vita. Intorno alla stella, inoltre,
vorticava ancora molto materiale (disco proto-planetario), che nelle zone
adiacenti al Sole presentava temperature molto elevate, mentre ai sobborghi,
aveva temperature molto basse. Ciò determinò la condensazione di elementi
pesanti, nella parte interna del Sistema, mentre, nella parte esterna, permise
soltanto la condensazione di elementi leggeri come l’idrogeno e l’elio. Di
conseguenza i pianeti terrestri poterono formarsi solo nelle zone adiacenti al
Sole, mentre nella zona posteriore a Marte, si sono evoluti solo pianeti
gioviani, con basse densità. Successivamente, in una fase ancora di formazione,
il Sole passò dalla nomina di proto-stella, a stella a tutti gli effetti;
determinando la pulizia delle polveri ancora presenti nel disco
proto-planetario, attraverso i venti solari. In questo modo il Sistema Solare
diventò trasparente, e assunse la forma di sistema vero e proprio.
Asteroidi, comete e meteoroidi
Il Sistema solare è
pieno di ammassi rocciosi che seguono svariate orbite intorno al Sole, chiamati
asteroidi. Essi prendono il nome di meteoroidi nel caso in cui le loro
dimensioni siano piccole, oppure comete, nel caso in cui la parte rocciosa sia
ricoperta da uno strato di ghiaccio. Questo strato è il risultato della
condensazione della nebulosa dal quale hanno avuto origine i pianeti del
Sistema Solare. L’orbita di molte comete viene modificata dalla forza
gravitazionale del Sole, che di tanto in tanto le fa passare nelle vicinanze
dell’orbita terrestre. Quando abbiamo la fortuna di osservare una cometa nel
cielo, notiamo che durante il suo percorso, essa lascia una scia alle sue
spalle, e quest’ultima, è proprio il frutto dello scioglimento del ghiaccio da parte del
calore solare. Una volta che ha finito il suo ghiaccio, la cometa, diventa un
asteroide composto solo da roccia. Per quanto riguarda i meteoroidi, invece,
essi possono avere varie dimensioni che spaziano dai 10-9 kg ai 107 kg, quindi possono essere incredibilmente più piccoli di un
granello di sabbia o pesanti come la Torre Eiffel. Quando uno di questi ammassi
entra in rotta di collisione con la terra, gran parte della sua massa viene
bruciata dalla pressione dinamica che subisce entrando in contatto con l’atmosfera
terrestre. Al momento dell’ingresso del corpo nell’atmosfera, infatti, si crea
una bolla d’aria intorno al meteoroide, che riscalda l’aria e di conseguenza
anche l’ammasso stesso. Quelle che noi chiamiamo stelle cadenti, infatti, sono
semplicemente meteoroidi che entrano nell’atmosfera, e che vengono illuminate
dal calore della pressione dinamica. La fine delle stelle cadenti, per fortuna,
è di venire bruciate quando ancora si trovano nell’atmosfera. Ma nel caso in
cui il meteoroide sia abbastanza grande da non essere completamente distrutto
dalla pressione dinamica, e quest’ultimo riesca a toccare il suolo terrestre,
esso viene chiamato meteorite. In alcuni casi i meteoriti possono rappresentare
un serio pericolo; non a caso molto probabilmente i Dinosauri si sono estinti
proprio in seguito all’impatto di un meteorite.
L’asteroide di
Tunguska
Il 30 giugno 1908 in Siberia, a Tunguska 60 milioni di alberi sono
stati rasi al suolo. 2150 km² di territorio è stato bruciato e il suono
dell’esplosione ha risuonato fino a 1000 km di distanza. A Londra il cielo
notturno è stato talmente illuminato, che molti testimoni hanno affermato che
si poteva leggere un libro. Non ci sono prove concrete dell’impatto, ma
l’ipotesi più accreditata è quella del asteroide. Infatti si crede che una
massa di 30 metri di diametro, sia entrata alla velocità di 15 km al secondo
dentro l’atmosfera, esplodendo a 8 km di altezza. L’energia cinetica del suo
movimento è stata trasformata in energia termica. L’onda d’urto creata, ha raso
al suolo tutti gli alberi. Questo fatto non è poi così misterioso, dato che
episodi del genere avvengono circa una volta ogni 600 anni.
Struttura
dell'universo
Nel 1965 due tecnici, Arno Penzias
e Robert Woodrow Wilson, che stavano studiando un rumore di fondo dell'antenna
radio, si accorsero che questo rumore proveniva con la stessa intensità da
tutte le direzioni dello spazio. Inizialmente cedettero che si trattasse di
escrementi di piccioni, ma una volta controllato tutto a modo, si accorsero di
aver fatto una scoperta incredibile: la radiazione di fondo cosmica a
microonde. Quello che avevano ascoltato era l’eco del Big Bang; ciò che era
rimasto in ogni luogo dello spazio dell’esplosione che dette origine ad ogni
cosa.
Successivamente si
scoprì che questa radiazione presenta piccole disomogeneità nelle diverse
direzioni di misurazioni. Ciò confermò di nuovo la teoria, in quanto la
radiazione dovrebbe essersi generata in seguito all’annichilazione tra
particelle e antiparticelle.
L'universo quindi su larga scala è
omogeneo, ma le galassie sono distribuite in maniera irregolare. Alcuni
astronomi credono che questa distribuzione disomogenea sia dovuta dalla
iniziale presenza di disomogeneità della distribuzione della materia, che si è
amplificata con l'espansione dell'universo.
Galassie, gruppo
locale, ammassi e superammassi
Sappiamo che i pianeti
ruotano intorno ad alcune stelle che ne ammettono la presenza. Le stelle, a
loro volta, sono disposte all'interno delle galassie, con una distanza media
l'una dall'altra, circa 50 milioni di volte superiore al loro diametro. Le
galassie possono assumere varie forme. Possono essere a spirali come la nostra,
ellittiche o irregolari. Le galassie ellittiche sono probabilmente il risultato
dello scontro tra due spirali. Queste categorie possono, a loro volta, essere
divise in molte sotto-categorie, ma non scendiamo in dettagli. La Via Lattea fa
parte del gruppo locale, ovvero un insieme di galassie le cui forze
gravitazionali interagiscono l'una con l'altra. Il gruppo locale presenta una
particolarità. Normalmente l'espansione dello spazio fa si che le galassie si
allontanino l'una dall'alta, nel gruppo locale, però, questo non avviene. Le
forze gravitazionali, in questo caso, sono più forti dell'espansione.
Andromeda (la galassia
più vicina alla nostra), ad esempio, tra qualcosa come 5 miliardi di anni si
scontrerà con la Via Lattea, proprio per effetto della gravitazione. Volendo
salire ancora con la scala dei gruppi arriviamo agli ammassi. Essi sono
composti da centinaia o addirittura migliaia di galassie, oltre, naturalmente,
a moltissima materia oscura e polvere stellare. Negli ammassi le galassie
ellittiche sono raggruppate nel centro, mentre quelle a spirali si trovano in
periferia. L'ultimo livello di gruppi sono i superammassi. Quest’ultimi sono
formati da molti ammassi, materia oscura e polvere stellare. Nell'universo sono
state trovate zone completamente vuote dalla forma di bolle. Ed è proprio
intorno a queste bolle che si trovano i superammassi.
Quasar
L’oggetto più luminoso dell’universo è senza
dubbio il Quasar (quasi-stellar
radio source). Le osservazioni di questi corpi evidenziano un forte spostamento
verso il rosso del loro spettro, evidenziando il fatto che devono essere
oggetti molto distanti e luminosi. L’idea generale è che siano parti centrali
delle galassie in formazione, in cui risiede un buco nero supermassiccio. Questo
buco nero inghiotte tutti i gas e le stelle che si trovano nei suoi dintorni,
trasformando la loro massa in energia. Questa enorme luminosità è talmente
elevata che una persona non può nemmeno concepirla. Le Quasar sono importanti
poiché datano con abbastanza precisione l’inizio delle formazioni delle
galassie.
Modelli di Friedmann
e il destino dell'universo
Friedmann, in senno
alle equazioni della teoria della relatività, teorizzo tre possibili modelli di
evoluzione dell'universo. Il primo caso ammette che l'universo si espanda
sempre di più, senza arrestarsi mai. In questo caso le galassie si
allontanerebbero sempre più l'una dall'altra, così come le singole stelle.
Questo scenario continuerebbe a fare il suo corso fino a che gli atomi delle stelle e dei pianeti, inizieranno a
staccarsi l'uno dall'altro, distruggendo così quello che rimane di un universo
spento e senza vita. Il secondo caso ammette che se ci fosse abbastanza
materia, l'espansione dell'universo si arresterebbe, cominciando una nuova fase
al contrario. Tutto comincerebbe a contrarsi per poi ritrovarsi concentrato in
punto di densità infinita, ed infine esploderebbe un nuovo Big Bang. L'ultima
ipotesi asserisce che l'universo si espanda fino ad arrivare ad uno stato
stazionario in cui rimarrebbe per l'eternità. In questo caso, poco probabile,
le stelle un giorno finirebbero il proprio carburante e l'intero universo si
spegnerebbe e con lui anche la vita. Per l'umanità, quindi, lo scenario si
prospetta catastrofico. Ammesso che nei prossimi secoli non si autodistrugga,
tra 4.5 miliardi di anni il sole finirà il proprio carburante e si spegnerà.
L'uomo quindi dovrà sviluppare le tecnologie necessarie per andare a occupare
altri pianeti. Il vero problema arriverà quando uno dei tre modelli di
Friedmann finirà il suo corso. A quel punto non ci sarà un posto dove andare, e
l'umanità sarà destinata a scomparire.
L’aggiunta della costante cosmologica
Quando Einstein
sviluppo la teoria della relatività, attraverso le sue equazioni era possibile
definire la struttura dell’universo. A quei tempi, però, ancora non era stata
scoperta l’espansione delle galassie, quindi si credeva che l’universo fosse
statico e immutabile. Nelle equazioni del fisico, però, sorgeva un problema,
che non permetteva all’universo di rimanere fermo in quello stato. Einstein,
quindi, aggiunse un valore alle sue equazioni detto costante cosmologica, la
quale aveva l’onere di essere imprimere una forza opposta a quella della
gravità, in modo da bilanciare le forze dell’universo. Successivamente Hubble
scoprì che le galassie sono in espansione, e Einstein dichiarò che quello della
costante cosmologica, fu il più grande errore della sua vita. Ultimamente però,
le prove sperimentali, hanno tornato a dar vita alla costante cosmologica.
L’universo, infatti, per avere la sua attuale geometria, deve essere bilanciato
da una forza misteriosa, che tutti identificano come l’energia oscura.
Materia oscura
Al giorno d’oggi i
fisici potrebbero benissimo determinare quali dei tre modelli di Freidmann è
esatto. Il problema, però, è che manca un dato fondamentale: quanta massa c'è
nell'universo. Gli astronomi, infatti, si sono trovati negli ultimi anni a
dover spiegare come mai il 90% della materia dell'universo non si riesce a
trovare.
Questa “assenza di massa
nell’universo” è stata ipotizzata in seguito all’osservazione degli effetti
gravitazionali e della velocità di espansione dell'universo, le quali ammettono
la presenza di molta più materia di quella che noi osserviamo. La risposta a
questo quesito, probabilmente, risiede nella materia oscura (da non confondere
con l'antimateria). Con questo termine si intende tutta quella materia che non
è visibile, ma di cui se ne osservano gli effetti gravitazionali. Di cosa sia
fatta questa materia si può solo ipotizzare, anche se l'ipotesi più accreditata
ipotizza che sia composta da neutrini massivi. Fino a poco tempo fa, del resto,
si credeva che i neutrini fossero privi di massa, ma recenti esperimenti hanno
fatto credere che abbiano una massa, anche se piccolissima, ovvero circa 1/5000
della massa dell'elettrone.
L'orizzonte
cosmologico
Quando la sera
guardiamo il cielo non vediamo le stelle come sono adesso, ma guardiamo nel
loro passato. La luce, infatti, per spostarsi da un punto ad un altro ha
bisogno di tempo, in quanto possiede una velocità. Questa è di circa 300.000
km/s e, per l’appunto, le distanze interstellari si misurano in anni luce. Un
anno luce è la distanza che la luce ci mette per arrivare da un punto a ad un
punto b, che corrisponde a 9461 miliardi di kilometri. Quindi quando noi
guardiamo le stelle che si trovano a migliaia o magari milioni di anni luce da
noi, la luce che noi vediamo sarà partita dalla stella rispettivi anni fa. Anche
la luce che il nostro Sole emana, arriva a noi con un ritardo, che è di circa 8
minuti. Per esempio, ipotizzando che ci possa essere vita nello spazio, e che
una civiltà molto avanzata stia osservando la nostra stella in questo momento, nonostante gli astronomi di questa fantomatica
civiltà stiano osservando il Sole nel nostro presente, non lo vedrebbero come
appare oggi. La luce che stanno osservando gli astronomi alieni, infatti, non è
certo quella che sta illuminando la nostra Terra. Ma è la luce che il Sole
emanò i rispettivi anni fa, pari alla distanza che la luce impiega ad arrivare
in questo fantomatico pianeta. Mettiamo che loro si trovino ad una distanza di
65.000.000 di anni luce. In questo caso, se il loro telescopio riuscisse ad
avere una definizione tale da vedere quello che succede sul nostro pianeta,
vedrebbero i dinosauri. L'orizzonte cosmologico, quindi, delimita quella
porzione di spazio-tempo che ci è inaccessibile, come la luce emessa da una
stella in questo momento. Questo vale per il passato e per il futuro.
Universo inflazionario
Secondo l’attuale
modello cosmologico del Big Bang sorgono due problemi di elevata rilevanza che
hanno permesso ad una teoria aggiuntiva -l’inflazione dell’Universo- di
prendere campo. Il primo problema riguarda la geometria dell’Universo, e quindi
il fatto che su larga scala sia piatto. Le masse presenti nell’Universo,
infatti, curvano lo spaziotempo. Il sole, i pianeti e tutti gli ammassi, dunque,
curvano la struttura spaziotemporale, come fa un arancio sopra un fazzoletto in
tensione. Quindi è evidente che ci sia una contraddizione nella logica della geometria
dell’Universo; deve essere successo qualcosa che lo abbia “stirato”. Il secondo
problema del modello cosmologico del Big Bang, per il quale è stata ipotizzata
l’inflazione, deriva dalla scoperta del fondo a microonde. Infatti se si
osserva il cielo in tutte le sue direzione si potrà osservare ovunque la stessa
temperatura di fondo. Però sappiamo che il calore si trasporta con i fotoni,
che viaggiano alla velocità della luce. Quindi, per essi, non ci sarebbe il
tempo per riscaldare tutti i lati dell’universo, che si trovano a distanze di
miliardi di anni luce. La risposta a questi due problemi probabilmente risiede
in una iniziale inflazione, proposta dai fisici Alan Guth e Alexei Starobinski. Questa teoria
implica che pochi istanti dopo il Big Bang, l’universo si sia espanso in modo
inflazionario, per poi diminuire la velocità di espansione. Per fare un
paragone, se una monetina da 10 centesimi si espandesse in modo inflazionario,
proprio come si ritiene che abbia fatto lo spazio a quel tempo, in un istante
diventerebbe più grande della Via Lattea. Ciò sembra che possa andare in
contrasto con la teoria della relatività,
ma essa non si applica in termini di spazio. A questo punto sono state
ipotizzati molti scenari affascinanti. Uno di questi dice che se lo spazio
tempo è esploso una volta, nulla vieta che possa farlo di nuovo. Questo implica
che ci siano delle regioni ai confini del cosmo, che potrebbero gonfiarsi come
dei palloncini, per poi staccarsi dal nostro universo. Questa inflazione,
dunque, creerebbe altri universi, che a loro volta ne creerebbero altri; magari,
dunque, noi ci troviamo in un universo nato da un altro già estinto.
La soluzione alla
disomogeneità e gli universi multipli
Secondo quello che sappiamo sulla cosmologia, senza la teoria
dell’inflazione non si riesce a spiegare perché all’interno dell’Universo si
trovino le galassie, le stelle e i pianeti. A rigor di logica se c’è stato un
Big Bang tutta la materia dovrebbe essere stata distribuita omogeneamente e
così sarebbe dovuta rimanere. Dobbiamo quindi capire come si sono create quelle
cicatrici che oggi ci appaiono come le galassie, le stelle e i pianeti. Prima della fase di inflazione
probabilmente l’Universo era molto caotico e al suo interno ci sarebbero stati
molti campi scalari diversi. Un campo scalare è una zona a cui ogni punto viene
associato una grandezza scalare, come ad esempio la temperatura. Quindi in ogni
zona in cui la radiazione di luce avrebbe potuto raggiungere tutte le parti di
essa, sarebbe potuta presentarsi un’inflazione. In questo modo si sarebbero
potute formare molte zone di espansione, ciascuna con le proprie
caratteristiche iniziali amplificate.
Come
vedremo nel capitolo di fisica lo spazio è permeato di un’energia del vuoto che
è diversa da zero. Questa energia è determinata dalle fluttuazioni quantistiche
che avvengono in virtù del principio di indeterminazione di Heisenmberg. Queste
fluttuazioni quantistiche si esplicano con la creazione di particelle ed
antiparticelle virtuali, che nascono, e che subito dopo si annichilano. In
questo modo, un’inflazione improvvisa avrebbe potuto amplificare questi
effetti, dando origine alla disomogeneità dell’universo che osserviamo oggi.
Inoltre ogni zona definita dall’iniziale campo scalare, in seguito
all’amplificazione degli effetti, avrebbe potuto avere caratteristiche completamente
differenti. Queste altre zone, o se preferite, universi, potrebbero avere
diverse dimensioni e forze. Potrebbero esistere universi composti da centinaia
di dimensioni spaziali e temporali, o universi bidimensionali. Alcune di queste
zone, inoltre, verranno solo sfiorate dall’inflazione, per cui magari le stelle
e i pianeti non avranno tempo di formarsi, ma per altre la storia potrebbe
essere lunga miliardi di anni, e la vita magari vi potrebbe sbocciare.
Tutto ciò
naturalmente potrebbe avvenire solo nel caso in cui la minima energia del vuoto
determinata dalle fluttuazioni quantistiche, non sia sempre uguale in tutte le
zone; altrimenti non ci potrebbero essere variazioni durante l’inflazione.
Tutte le diverse soluzioni spaziotemporali possono, tuttavia, essere descritte
dalla teoria della relatività, per cui nulla vieta che possano davvero
esistere.
A questo
punto la nostra Terra sembra sempre più un piccolo pianeta confinato ai margini
di una galassia che si trova immersa in miliardi di altre sue simili, e che
forse sono solo un piccolo gruppo di biglie all’interno di un piccolo Universo,
che si trova affianco ad altri infiniti universi.
Il multiverso
In seguito alla teoria dell’inflazione sono sorte molte ipotesi, tra
cui quella di due fisici russi, Andrei Linde e Alex Vilenkin. I due fisici
hanno ipotizzato che l’inflazione che probabilmente si è verificata miliardi di
anni fa, possa verificarsi anche in momenti successivi. In questo modo nuove
bolle di universi potrebbero nascere da universi già esistenti, creandone di
nuovi. Anche il nostro universo ne potrebbe creare altri. Quindi, a seconda
delle caratteristiche delle fluttuazioni quantistiche, ogni nuovo universo
potrebbe avere le proprie caratteristiche, sia per quanto riguarda lo
spaziotempo che per le forze e le masse. Tutto potrebbe essere diverso e soprattutto
in infiniti modi. Un multiverso del genere potrebbe durare per l’eternità, e
magari potrebbe ospitare la vita in diverse forme. Quello che sappiamo, per
ora, è che la vita sicuramente riesce ad evolversi in uno spaziotempo a tre
dimensioni spaziali, più una temporale. Nulla vieta, però, che la vita si possa
evolvere anche in dimensioni spaziotemporali totalmente diverse, in modi
nemmeno immaginabili.
Evoluzione stellare
L’universo è incredibilmente vasto. In ogni direzione lo si osservi,
esso ci presenta una varietà incredibile di galassie, ed ognuna contiene
miliardi di stelle. Ogni stella ha una sua storia, determinata principalmente
delle sue dimensioni. In termini astrofisici, si usa la massa del Sole per
rapportare quella delle altre stelle (M☉ = 1,9891
kg).
La storia stellare è incredibilmente affascinante, e tutto comincia nel momento
della loro nascita. Inizialmente molto materiale (gas e polveri) si presenta
sottoforma di nebulosa, che attraverso la forza gravitazionale, si collassa
verso il proprio centro. In questo modo gli atomi al centro della stella devono
subire, man mano, sempre più pressione esercitata dagli atomi esterni,
comportando un inesorabile aumento delle temperature. In questo momento, la
proto stella, comincia ad attivare le prime razioni termonucleari nel proprio
nucleo, comportando un enorme rilascio di energia.
La pressione degli atomi esterni, infatti, dovrebbe far collassare la
stella su se stessa, ma il tutto viene compensato dalla produzione di energia,
dovuta alle razioni termonucleari del nucleo. È un enorme tira e molla che si
perpetua tra il nucleo e la parte esterna della stella. Comunque, fatto sta che
attraverso questo meccanismo le stelle si accendono, e danno luce all’universo;
anche se purtroppo, tutto questo è destinato a finire. Infatti la fusione
termonucleare comporta la produzione dell’elio in seguito alla fusione di due
atomi di idrogeno, e questo determina che l’idrogeno prima o poi debba finire.
Nel momento in cui questo avviene, possono determinarsi vari scenari, a seconda
della massa della stella. Il nostro Sole, per esempio, avrà idrogeno da fondere
per i prossimi 5.5 miliardi di anni, ma quando arriverà al punto di averlo fuso
completamente, sarà destinato a diventare una gigante rossa. Il nucleo del
Sole, infatti, arriverà al punto di essere costituito interamente da elio, e
ciò comporta che le fusioni termonucleari si spostino nelle zone più esterne
dell’astro. Il Sole, a questo punto, sarà costretto ad espandersi in una
gigante rossa, la quale conta centinaia di raggi solari.
Successivamente, nell’ultimo periodo di vita
delle stesse, esse tornano a contrarsi e attivano un nuovo tipo di fusione
termonucleare. Si forma così il nucleo del carbonio, determinato dalla fusione
di tre nuclei di elio. A questo punto anche l’elio non è più sufficiente, e le stelle cominciano ad espandersi perdendo gli strati più esterni, e rilasciando un’altra nebulosa. Quest’ultima,
naturalmente, sarà arricchita di nuovi elementi (come il carbonio), i quali
potranno comportare la formazione della vita su qualche pianeta formatosi dalle
polveri della nebulosa. Ma la nebulosa non sarà tutto quello che rimane della
stella: nel centro delle polveri, una piccola stella, chiamata nana bianca,
continuerà ad essere calda per molti milioni di anni. Le fusioni termonucleari
non saranno più attive al suo interno, cosicché, in seguito ad un graduale
raffreddamento, la stella si spengerà definitivamente, diventando una nana
nera. Ma questo non è tutto, infatti, le stelle, possono avere differenti
masse, e gli scenari sarebbero completamente diversi. Esiste un limite,
infatti, affinché una stella si trasformi in una nana bianca, detto limite di Chandrasekhar
(dall’astrofisico Subrahmanian Chandrasekhar), che
corrisponde a 1,4 masse solari (1,4M☉). Oltre quel limite un
stella non avrebbe sufficiente pressione di degenerazione elettronica ( che è
un principio quantistico, per il quale gli elettroni non possono ammassarsi gli
uni sugli altri), per far si che la stella rimanga stabile, e così esploderebbe
in una supernova. In questo caso la fusione termonucleare dell’idrogeno
avverrebbe molto più velocemente, seguita in rapida successione da quella
dell’elio, e così per tutti gli elementi fino al ferro. In questo momento la
stella dovrebbe essere formata da vari strati, dei quali, ognuno, dovrebbe
presentare il solito elemento. A quel punto la stella non avrebbe abbastanza
energia per fondere il ferro, comportando un’enorme esplosione. In seguito ad
una esplosione di una tale portata, rimarrebbe soltanto una stella di neutroni,
il cui diametro e di circa 30 km, e la densità infinitamente grande. Ma
un’ulteriore caso può presentarsi. Infatti, se la massa della stella supera un
altro limite, quello di Landau (1,5 M☉), l’esplosione della
supernova non sarebbe sufficiente ad evacuare abbastanza massa, e il risultato
sarebbe un collasso gravitazionale immenso, determinante la formazione di un
buco nero. Tali oggetti hanno delle masse enormi, come quello che si suppone
sia presente nel centro della nostra galassia, il quale dovrebbe avere una
massa di 4.000.000 M☉.
Ora,
non so se il lettore avrà compreso le implicazioni dell’evoluzione stellare, ma voglio
farne presente una in particolare. Inizialmente l’universo doveva essere
permeato di particelle, che in alcuni casi si sono unite nel nucleo più
semplice, quello di idrogeno. Successivamente l’idrogeno venne tramutato negli
altri elementi, attraverso la fusione nucleare delle stelle. Solo in alcuni
casi, ovvero in seguito all’esplosione delle supernove, tutti gli elementi
ebbero origine. Quindi il fatto che noi esistiamo, è determinato
dall’esplosione di queste stelle; gli atomi che compongono il nostro corpo,
sono stati forgiati nelle stelle miliardi di anni fa.
La morte delle
stelle
Le stelle come noi
nascono, crescono e muoiono. Però a differenza di noi, la loro durata di vita
può allungare o diminuire di molto, a seconda della loro massa. Tutto dipende
dalla quantità di combustibile e dalla velocità con cui lo bruciano. Inoltre, le
stelle, si differenziano anche per tipologie di morte. Infatti a seconda del
tipo di collasso gravitazionale possono subire quattro conseguenze diverse:
possono diventare nane bianche (che successivamente diventano nane nere),
nebulose planetarie, supernove o buchi neri.
Le nane bianche
Il destino del Sole
sembra essere quello di diventare una nana bianca. La nostra stella, infatti,
possiede una massa poco superiore alla media, che non è comunque sufficiente a
creare né le supernove, né i buchi neri.
Il meccanismo che porta alla morte
della stella è il seguente: le stelle attraverso la fusione termonucleare
bruciano il loro combustibile fino a esaurirlo completamente. A questo punto
non vi è più equilibrio all'interno della stella, la quale subisce un collasso
gravitazionale. Questo collasso è dovuto dalle forti pressioni degli atomi
esterni. Questi atomi rimangono soggetti alla forza di gravità, ma non sono più
bilanciati dalla fusione termonucleare. La stella quindi, collassa su se
stessa, diminuendo molto le sue dimensioni. Si forma così una nana bianca, che
conserva ancora qualche energia da bruciare. In seguito, però, quando tutto il
combustibile sarà veramente esaurito, la stella diventerà una nana nera e
finirà di illuminare l'universo. Nel caso in cui l’astro possieda una massa
particolare, esso potrebbe perdere i propri stati interni diventando una
nebulosa planetaria, di cui abbiamo parlato nel capitolo della formazione dei
pianeti.
Supernove
Le supernove sono
immense esplosioni di stelle che hanno finito di bruciare il loro combustibile
e per effetto della contrazione del loro nucleo, quest'ultimo esplode,
generando il più grande arricchimento chimico delle galassie. In particolare,
il meccanismo che porta all'esplosione del nucleo di una stella, inizia con la
sua nascita. Infatti, nel corso della sua vita, le stelle con una massa dieci
volte superiore a quella del sole, producono energia attraverso la fusione
termonucleare dell'idrogeno in elio, poi dell'elio in carbonio e così per tutti
gli elementi fino al ferro. A questo punto non riescono a trovare abbastanza
calore per fondere il ferro. Così il nucleo inizia a contrarsi su se stesso in
modo irreversibile, fino a formare un raggio di circa dieci chilometri.
Raggiunto un livello critico di densità e temperatura, l'onda d'urto inizia ad
espandersi verso la crosta, che raggiunge dopo circa due ore. Uscita dalla
crosta, l'esplosione, trasposta detriti a enormi distanze. Grazie alle
temperature elevatissime il ferro si fonde e via via si formano tutti gli altri
elementi, tra cui quelli essenziali alla vita; per la seconda volta, dunque, è
grazie a un'esplosione che la nostra storia ha avuto inizio. Quello che rimane dell'esplosione è una stella
di neutroni, il cui raggio è di circa 10 km. La sua composizione è di soli
neutroni, talmente compressi che la densità di un solo centimetro cubo,
equivale a quello di tutte le macchine del nord America.
Queste stelle possono
presentarsi sotto forme diverse a seconda di dove si trovano. I casi possibili
sono tre: pulsar, magnetar o burster. Per esempio, una stella, può trovarsi
accanto ad una compagna dalla quale prende massa e in questo caso diventa una
burster. Oppure, l’astro, può entrare in zone più dense di massa, come nubi di
gas. In questo caso si alimenta di questa massa per sprigionare tutta la sua
energia. Nel caso della magnetar, il suo campo magnetico diventa cosi potente
da superare di milioni di miliardi di volte quello terrestre. L'ultimo caso è
quello delle pulsar, le quali emanano un enorme quantitativo di raggi gamma dai
poli magnetici. La rotazione della stella raggiunge la velocità incredibili,
facendo rilevare questi raggi gamma ad intervalli piccolissimi.
I buchi neri
Esistono luoghi nell'universo in cui il tempo si
ferma e lo spazio si curva su se stesso. Questi luoghi sono i buchi neri. La loro
formazione avviene, come negli altri casi, in seguito al collasso
gravitazionale. A causa dell'elevatissima densità, la stella collassa su se
stessa e crea un buco nello spazio-tempo. In questo caso la linea del tempo si
curva talmente tanto che il tempo rimane stazionario in un punto.
Questa curvatura spazio temporale, inoltre,
comporta l’ingresso all’interno del buco, della luce stessa. Quest’ultima,
infatti, dovendo seguire la forma della geometria dell’universo, tende ad
entrare all’interno del buco nero, senza più fare ritorno.
Ma per comprendere l’enorme attrazione
gravitazionale dei buchi neri, con un semplice esempio di meccanica classica, è
possibile fare affidamento alla velocità di fuga.
Un corpo può uscire dal campo gravitazionale di un
altro, solo se possiede un’energia cinetica maggiore all’energia gravitazionale
del corpo stesso. La velocità, di fuga, quindi, è la velocità necessaria ad un corpo
per sfuggire alla gravità di un altro.
Sapendo inoltre che la velocità della luce, è la massima
raggiungibile, se un corpo avesse una energia gravitazionale enorme, allora nemmeno
la luce potrebbe sfuggirgli.
La radiazione di Hawking
Il famoso scienziato
Stephen Hawking, maggiore esperto mondiale sui buchi neri, ha ipotizzato che essi,
trovandosi come ogni cosa, immersi nel vuoto quantistico (vedi particelle
virtuali), sono destinati ad evaporare.
Normalmente si potrebbe
pensare che all’interno di un atomo, tra gli elettroni e il nucleo, non ci sia
niente. In realtà quello è un luogo fiorente di attività. Infatti, secondo il
principio di indeterminazione di Heisenmberg, alcuni parametri delle
particelle, come velocità e posizione, non possono essere conosciuti contemporaneamente.
Questo principio è un legge della natura e non può assolutamente essere
violato. In un luogo completamente vuoto, però, questi parametri
acquisterebbero valori definiti, in quanto velocità e posizione sarebbero 0; e
ciò è in contrasto con il principio di indeterminazione. Allora che tipo di
particelle si trovano nel vuoto quantistico? Semplice, particelle virtuali, e
la loro storia è questa: nel vuoto quantistico avvengono fluttuazioni quantiche
per ovviare alla violazione del
principio di indeterminazione; queste fluttuazioni, fanno nascere particelle e
relative antiparticelle. Il loro ciclo di vita è cortissimo e nel momento in
cui si ricongiungono, si annichilano a vicenda. Nel vuoto quantistico, quindi,
vi è una fiorente attività di creazione
e annichilazione di un numero incredibile di particelle virtuali.
Secondo Hawking, un
buco nero avrà delle particelle virtuali che si creano nei pressi
dell’orizzonte degli eventi, ovvero in quel luogo che fa da demarcazione tra
ciò che entra e ciò che sta fuori. Le coppie particella-antiparticella, che si
troveranno nel confine verranno separate permettendo l’ingresso di una, ed
evitando quello dell’altra. Cosicché quella che riuscirà a scampare al suo
destino, diventerà una particella reale. Ciò significa che con il passare del
tempo il buco nero tenderà ad evaporare, in quanto parte della materia riuscirà
ad uscire.
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