domenica 5 febbraio 2012

Computer quantistici e la potenza dei Qubit

Nel 1936 Alan Turing inventò una macchina in grado di calcolare qualsiasi algoritmo, che oggi porta il suo nome. La macchina di Turing è uno strumento ideale, che permette risolvere algoritmi in maniera efficace, e di qualsiasi portata, attraverso un semplice meccanismo. Immaginatevi un nastro infinito, con impressi alcuni simboli facenti parte di un alfabeto finito. Ora, in un dato luogo del nastro dovrebbe esserci una macchina in grado di leggere i simboli e di cambiarli. Pensate ora che i simboli incisi sul nastro siano 0 e 1, proprio come il codice binario dei computer. All’interno della macchina dovranno esserci degli stati su cui è stato impostato cosa fare, in seguito alla lettura dei simboli. Ad esempio ci saranno scritti i movimenti verso destra o verso sinistra che la macchina deve compiere, o quando deve fermarsi, ecc ecc. In questo modo a seconda dell’evoluzione degli stati interni, la macchina potrà risolvere algoritmi di diversa difficoltà. Ma non esiste un limite teorico per la difficoltà di risoluzione degli algoritmi, quindi, in linea di principio, analogamente a quanto avviene con la macchina di Turing, un qualsiasi personal computer potrebbe risolvere qualsiasi tipo di calcolo. Quello che varia è il tempo impiegato a risolvere l’algoritmo. Dunque al giorno d’oggi, un qualsiasi pc è teoricamente in grado di risolvere qualsiasi tipo di algoritmo..o quasi. Infatti esistono alcuni problemi di natura non deterministica che non possono essere risolti dai normali pc, ma in linea di principio potrebbero essere risolti dai computer quantistici.

Il primo a teorizzare un computer quantistico è stato Richard Feynman, quando nel 1981, al Massachusetts Institute of Technology  (MIT), si tenne il primo convegno sul rapporto tra fisica e computazione. Feynman non era soddisfatto dalla simulazione della realtà emulata dai computer classici; non ci vedeva niente di eclatante. Il fisico era più propenso a gettare le basi per la costruzione teorica di un computer che funzionasse allo stesso modo in cui funziona la natura: attraverso l’indeterminazione. Secondo Feynman per simulare la natura (quando mi riferisco a simulare parlo di tutti quei programmi per la modellazione aerodinamica, bioinformatica, ma anche simulatori di vari modelli, come quelli meteorologici ecc.) bisogna utilizzare i meccanismi della natura stessa; e quindi non è sufficiente utilizzare il mondo classico per costruire i computer: si deve scavare più a fondo e scovare i veri meccanismi che stanno alla base del mondo. Quello a cui Feynman si riferiva era il mondo dei quanti.
Il ventesimo secolo è stato ricco di innovazioni, sotto tutti i punti di vista, ma due in particolare, sono state le vere rivoluzioni scientifiche di quel secolo: la teoria della relatività e la meccanica quantistica. La prima ideata da Albert Einstein, ha rivoluzionato il modo di concepire lo spazio e il tempo, cambiando radicalmente il modo di interpretare gli eventi; senza un sistema di riferimento non è più possibile dire chi di due masse, l’una in moto, l’altra ferma, sia quella in moto. Ma non è questa la teoria che ci interessa ai fini dell’articolo. La meccanica quantistica è il vero succo del discorso. I percussori di questa teoria sono stati molti: Bohr, Heisenberg, Schrödinger, DIrac, Bohm, Pauli, Planck, Fermi, ecc ecc; ma primo su tutti, è di nuovo Albert Einstein, l’unico convinto da subito che la natura della luce fosse anche corpuscolare. Anche se, quella che è stata la sua seconda grande intuizione, si è rivelata, per lui, il più grande flagello della sua vita. Einstein è morto convinto che alla meccanica quantistica mancasse qualcosa, e che i risultati assurdi degli esperimenti con i quanti, fossero dovuti alla mancanza di conoscenze sulla materia che vigevano a quel tempo. Il mondo secondo Einstein era determinato, e soprattutto, diceva: “Dio non gioca a dadi”. Se vi state chiedendo il perché di tutta questo austero rifiuto, da parte del più grande fisico di tutti i tempi, vi accontento subito. La meccanica quantistica fonda la sua esistenza sull’indeterminazione, quindi in linea di principio, se noi lanciamo una palla, non poteremo sapere dove essa andrà a cadere, ma potremo calcolare solo la probabilità del luogo in cui cadrà. Ma allora perché quando lanciamo una palla, sapendo velocità, direzione, verso, intensità, modulo, attrito dell’aria, forza gravitazionale ecc. riusciamo a calcolare dove andrà a finire? Semplicemente perché noi sperimentiamo quello che accade nel mondo classico; nel macromondo. Se, invece, andiamo ad esplorare il mondo dell’infinitamente piccolo, le cose si fanno più complicate. Una particella, non risponde alle leggi classiche della natura, ma a quelle quantistiche; e la meccanica quantistica gioca con le probabilità, non con i fatti. Ma questa probabilità non è determinata dalla mancanza di informazioni, come nel momento in cui lanciamo una moneta: se conoscessimo tutte le proprietà della moneta durante il lancio, sapremo se finirà testa o croce. No, la probabilità quantistica è una probabilità fondamentale, la natura stessa è indeterminata. E questo è espresso attraverso il principio di indeterminazione di Heisenberg, il quale afferma che non si possono conoscere velocità e posizione di una particella, contemporaneamente. Perché? Pensate di dover osservare una particella infinitamente piccola. Nel momento in cui effettuate la misurazione, avrete bisogno di illuminare la particella, per capire dov’è. Quindi considerando che la luce è composta da particelle, i fotoni, per misurare una sola particella, avrete bisogno, di un solo fotone. Ma nel momento in cui fate interagire il fotone con la particella, allora, la prima trasferirà la sua energia alla seconda. Quindi il risultato sarà, che capirete con molta incertezza la posizione della particella, ma sicuramente altererete molto la sua velocità. E viceversa, se volete sapere con precisione la sua posizione, avrete bisogno di illuminarla maglio, con un fotone più energetico, il che vi obbliga ad utilizzare una lunghezza d’onda molto grande, dunque la posizione della posizione della particella vi apparirà totalmente indeterminata. Quindi la misurazione stessa determina l’indeterminazione. Ma quando nessuno le misura? Qui le cose si fanno ancora più interessanti. Se le particelle non vengono osservate (per ora semplifico dicendo “osservate”, ma il semplice fatto di interagire con i fotoni dona una natura corpuscolare alle particelle), la loro natura è ondulatoria e non corpuscolare. Allora la natura delle cose qual è: corpuscolare o ondulatoria? Entrambe, e questo è forse il vero pilastro della meccanica quantistica. A seconda dell’esperimento effettuato, infatti, le particelle ci appaiono sottoforma di onde o corpuscoli. Ma ai fini del nostro articolo quello che conta davvero è la sovrapposizione degli stati. Tutto quello che vi ho spiegato fino ad ora, però, non è stato vano, perché per capire la sovrapposizione degli stati è necessario conoscere quei concetti fondamentali della meccanica quantistica. Ora, considerate che le particelle hanno alcune caratteristiche tipo, quantità di moto, spin, e nel caso degli elettroni: distanza dal nucleo, momento angolare ecc. Queste caratteristiche però non sono perfettamente determinate, anzi prima dell’osservazione queste caratteristiche si trovano miscelate in tutti gli stati possibili. Ovvero, hanno tutti i parametri possibili. Prendete il caso dello spin: questo parametro definisce la rotazione della particella sul proprio asse, e quindi può assumere due valori, o su o giù; ma la particella che non è osservata che spin ha? Su o giù? Entrambe. Infatti una particella che non viene osservata non è dotata di una natura determinata, ma ha tutte le possibili configurazioni. Quindi una particella non osservata si trova miscelata in diversi stati di probabilità. Si può solo dire che tale particella ha un’ampiezza di avere spin su, e un’ampiezza di avere spin giù. E tutto questo cosa centra con i computer quantistici? Se considerate che l’informazione, nei normali computer, viene trasferita dai normali bit, voglio farvi vedere quello che può succedere con i Qubit, i bit analoghi del computer quantistico.

Un normale computer elabora l’informazione tradotta in bit, che può assumere i valori di 0 e 1. Mentre l’informazione elaborata dai computer quantistici esiste sottoforma di ampiezze. Dunque nel caso di un Qubit, l’informazione quantistica può essere letta come 1, come 0 o come la sovrapposizione di tutte e due; il che significa che nel caso di due combinazioni, l’informazione contenuta avrà quattro possibili combinazioni; così che le possibili combinazioni aumenteranno esponenzialmente all’aumentare dei Qubit.
Bene, questo appena descritto è la logica che sta alla base dei computer quantistici, ma vediamo che tipi di problemi possono risolvere.

Abbiamo detto che per la risoluzione dei semplici problemi polinomiali sono sufficienti i moderni pc classici, ma se i computer quantistici fossero utilizzabili per la risoluzione degli NP-completi, il futuro della conoscenza non avrebbe confini. Ma andiamo per gradi. Se ad un computer quantistico fosse affidata la risoluzione di un problema classico, che richiedesse il calcolo di un solo passaggio, il vantaggio non si noterebbe. Infatti al momento della misurazione del registro dei dati, del computer, potremo osservare un solo numero. Nel senso, che come nella misurazione delle particelle, al momento della misurazione avviene il collasso della funzione d’onda (quindi la particella acquista una natura determinata), nel momento della misurazione del registro del computer, avviene la determinazione dei Qubit; il che li rende non più sovrapposti, ma determinati. In questo modo, quando il computer quantistico effettua un solo passaggio, non si nota differenza da un normale computer. Nel momento, però, che i passaggi da effettuare sono molti, allora i vantaggi del computer quantistico si rendono visibili: se un registro contiene molti numeri, un computer quantistico è in grado di effettuare tutti i calcoli su di loro, contemporaneamente. Il risultato, sarà, una incredibile velocità di calcolo. Ma tutto questo si ferma alla risoluzione dei normali problemi, ora, passiamo oltre.

Ma come si costruiscono i computer quantistici?
Da quello che ho descritto durante l’articolo dovreste aver capito che per far funzionare un computer quantistico, è necessario utilizzare i fenomeni del mondo dei quanti. Questi fenomeni avvengono a scale incredibilmente piccole, dell’ordine degli atomi. Ma in che modo i fenomeni quantistici possono trasformarsi in informazione, in Qubit? Se siete a conoscenza del funzionamento dei normali pc, dovreste sapere che l’informazione 0 e 1 viene determinata attraverso il passaggio della corrente nei condensatori. Quindi quando passa corrente si ottiene 1, mentre quando la corrente non passa si ottiene 0. E nei computer quantistici come funziona? Ci sono vari metodi per ottenere l’informazione, come ad esempio stabilire in che orbita si trova un elettrone. Sapete che gli elettroni ruotano intorno agli atomi, in orbite precise; non possono occupare gli stadi intermedi. Quindi a seconda che un elettrone occupi un orbita più o meno eccitata, si otterrà 1 o 0. Ma com’è possibile isolare un atomo per poterlo utilizzare come fonte di informazione? Grazie alle ricerche compiute dal premio Nobel Hans Dehmelt, già da molti anni è possibile isolare un singolo ione (atomo con eccesso o debito di elettroni) con un solo elettrone, in un luogo completamente vuoto2. Ciò avviene utilizzando molti campi magnetici ed elettrici, in modo da mantenere lo ione sospeso all’interno di un dispositivo, isolato dalla materia. Per di più, bombardando lo ione con reggi laser, è possibile mantenerlo sospeso in un punto. Inoltre se ci pensate, per portare l’elettrone a cambiare orbita, ossia a raggiungere uno stato più o meno eccitato, è necessario illuminarlo con un fotone. Quindi a seconda dello stato raggiunto dall’elettrone l’informazione sarà 0 o 1. Ma se l’energia utilizzata per eccitare l’elettrone fosse metà di quella necessaria per fargli cambiare l’orbita, cosa succederebbe? L’elettrone si troverà in una miscela di stati, in cui la sua informazione sarà miscelata tra 0 e 1; sarà contemporaneamente entrambi i valori. Un altro metodo per ottenere dei risultati utilizzando il mondo dei quanti, è la tecnologia NMR (Risonanza Nucleare Magnetica), ideata nel 1997. In questo caso non vengono utilizzati singoli atomi, ma intere molecole. Ogni atomo delle molecole, infatti, dovrebbe contenere un nucleo composto da protoni e neutroni, dotati di spin. Tali spin dovrebbero sommarsi, finendo per escludersi a vicenda, ma se un atomo è dotato di un numero di protoni e neutroni, dispari (ovvero in cui ci sia un protone o un neutrone in più rispetto, ai loro compagni), lo spin dovrebbe fornire l’informazione 1 o 0. Gli atomi a questo punto dovranno essere in grado di interagire gli uni con gli altri, attraverso capi elettromagnetici: dovranno essere uniti in entagled.  Con questo sistema, nel 2001, Isaac Chuang, Gregory Breyta, Mark Sherwood e Costantino Yannoni, dei laboratori IBM di Almaden, insieme a Lieven M.K. Vandersypen e Matthias Steffen, della Stanford University, hanno presentato un esperimento, con cui riuscivano a fattorizzare il numero 15, attraverso una molecola composta da sette spin nucleari (cinque di fluoro e due di carbonio) programmati attraverso radiofrequenze, per interagire e per funzionare da Qubit. Sono poi state sperimentate i quantum dot, ovvero piccole isole di materiale superconduttore, all’interno di un chip. All’interno delle isole sarebbe possibile controllare il numero di elettroni, finendo per intrappolare all’interno di un’isola, un solo elettrone, così da utilizzarlo come Qubit. In questo modo si potrebbero utilizzare chip da molti Qubit. Ultimamente la D-Wave ha presentato il primo computer quantistico in commercio capace di utilizzare 128 Qubit, per fare una sola operazione matematica: l’operazione discreta. Geordie Rose, il fondatore dell’azienda canadese, ha chiarito come è stato risolto uno dei problemi più comuni: l’instabilità dell’informazione quantistica. I sistemi quantistici, infatti, devono essere perfettamente isolati, in quanto risentono di qualsiasi tipo di influsso. Il D-Wave riesce ad ovviare questo problema ricorrendo all’architettura di computer detta “quantistica adiabatica a superconduzione” che consente ai chip di tollerare il rumore termico intrinseco della materia stessa. Anche se, è doveroso dirlo, l’azienda ha subito forti critiche da parte di alcuni scienziati nell’ambito della informatica quantistica. In particolare Scoot Anderson, ha commentato che la dimostrazione compiuta dalla D-Wave non prova niente sull’effettiva funzionalità del computer quantistico. Mentre Umesh Vazirani, professore all'Università di Berkeley, ha detto che probabilmente il D-Wave anche se risulta effettivamente essere un computer quantistico, potrebbe non essere più potente di un normale telefono cellulare. Il futuro, dei computer quantistici, quindi, rimane incerto, ma al di là di quello che si potrebbe pensare, essi potrebbero davvero, un giorno, essere utilizzabili per il potenziamento delle nostre conoscenze, magari non verranno mai utilizzati da folli cracker per rubare codici alle banche, ma da rispettosi scienziati che li utilizzeranno per migliorare la qualità del nostro mondo e della nostra vita.