Le
proprietà generali degli esseri viventi
Che differenza c’è tra vivo e inerte? Cosa ci
distingue da un sasso? Qualsiasi persona a cui venissero poste queste domante,
quasi sicuramente risponderebbe che la differenza c’è, ed è evidente. Ma è
proprio così? Per prima cosa, sia gli esseri viventi che la materia inerte,
sono composti da atomi. In entrambi i sistemi, inoltre, gli atomi si
organizzano in molecole. A questo punto possiamo dire che la struttura
molecolare degli esseri viventi è estremamente più complessa della materia
inerte, ma ciò non basterebbe a chiarire la differenza tra ciò che è vivo e ciò
che non lo è. Infatti non potremmo dire a che livello di complessità si trova
la linea di confine tra i due schieramenti, in quanto i fattori che compongono
la complessità sono molteplici e differenti tra caso a caso. Allora proviamo a
definire alcune proprietà che definiscono una volta per tutte la differenza tra
vivente e non vivente. Per fare questo impiegherò lo stesso esempio utilizzato
da Jaques Monod nel libro “Il caso e la necessità”. La prima proprietà degli
esseri viventi è di essere dotati di progetto. Ma vediamo di cosa si tratta.
Pensate di non aver mai visto niente di quello che esiste sulla Terra; pensate
di essere alieni di un altro pianeta e di venire per la prima volta ad esplorare
il comportamento degli umani. Il compito a voi assegnato sarà di conoscere e
catalogare gli oggetti creati dall’uomo (artefatti), ma siccome non avete
oggetti di riferimento da confrontare, dovete in qualche modo realizzare un
metodo di interpretazione oggettivo. Per prima cosa dovrete focalizzare la
vostra attenzione sugli oggetti dotati di un struttura regolare e ripetitiva.
Sicuramente, infatti, nel vostro percorso incontrerete molti oggetti come,
coltelli, seggiole, televisioni, etc; a
quegli oggetti attribuirete l’attributo di antropici. Ma se con il solito
criterio osservaste un favo delle api, cosa dedurreste? Senza dubbio
attribuireste anche ad esso, l’attributo di antropico. Dunque, in seguito a
questa considerazione, è facile comprendere come non vi sia una differenza
lampante tra il prodotto dell’uomo e il prodotto di un organizzazione naturale
vivente, come le api. Abbiamo quindi compreso, come i prodotti degli esseri
viventi siano anch’essi dotati di progetto. Ma andiamo oltre. Nonostante sia molto
più avanzato, il sistema da voi adoperato per catalogare gli oggetti sulla
Terra, è analogo alle nostre fotocamere digitali. A questo punto potrete
comprendere che il funzionamento degli occhi degli esseri viventi è in qualche
modo correlato a quello delle fotocamere, e quindi capirete che anche gli
esseri viventi stessi, e non solo quello che producono, sono dotati di
progetto. Questa è la prima proprietà degli esseri viventi e si chiama
teleonomia. Ma ora pensate di incontrare per la prima volta sul vostro precorso
di esploratori terrestri, un cristallo. Che cosa vi viene in mente? Anche
questo deve essere un prodotto di un essere vivente, e quindi deve avere un
progettista alle spalle. Ma non è così, infatti i cristalli hanno la
peculiarità di riportare nel macromondo la loro struttura microscopica. Per
questo la teleonomia non è sufficiente a definire gli esseri viventi, ma
vediamo se con altre proprietà ci riusciamo.
Come si forma la forma di un sasso? Può sembrare un gioco di
parole, ma è una domanda seria. Quali sono, infatti, le forze che modellano la
forma di un sasso? Beh i fattori in gioco sono molti, come ad esempio l’energia
cinetica di un fiume, o l’energia potenziale di un pezzo di monte che sta per
franare. Ma in ogni caso il sasso è modellato da forze esterne ad esso. Nel
caso degli esseri viventi la situazione è diversa. Infatti a dare la forma ai
singoli individui di ogni specie, ci pensano le interazioni morfogenetiche
interne. Le forze che danno forma agli organismi viventi, sono interne
all’individuo stesso; il modellamento avviene dall’interno. Questa proprietà
prende il nome di morfogenesi autonoma. Anche qui però i cristalli rovinano
tutto, infatti, anche loro vengono modellati rispetto alla loro struttura
interna, e quindi anche la morfogenesi interna non è sufficiente a descrivere
gli esseri viventi. L’ultima proprietà che ci permetterà davvero di distinguere
ciò che vive e ciò che è inerte, è la più incredibile: ovvero la capacità di
trasmettere l’informazione di generazione in generazione. Infatti l’insieme
delle strutture degli esseri viventi è costituito da informazione; come nel
caso delle cellule, le quali contengono, ognuna, l’intero DNA dell’organismo.
In questo modo, l’individuo, attraverso la riproduzione, con una singola cellula,
potrà conservare la propria struttura in un altro organismo. Questa capacità di
conservare la propria struttura si chiama invarianza strutturale. Ecco, dunque,
che abbiamo finito di comprendere le proprietà che distinguono gli esseri
viventi, dalla materia inerte.
La vita va contro al
secondo principio della termodinamica?
Ad una prima analisi, la vita, risulta essere in contrasto con
il secondo principio della termodinamica. Secondo tale principio, infatti, la
freccia del tempo scorre nella solita direzione della freccia termodinamica,
secondo cui l’ordine va sempre verso il disordine. La teleonomia, però,
presuppone l’esistenza di un progetto negli esseri viventi. E questo progetto
sembrerebbe implicare che gli esseri viventi siano frutto di ordine dal
disordine, anche se, in realtà, le cose sono un po’ diverse. Infatti la
termodinamica permette l’aumento di ordine all’interno di un sistema non
isolato (come un frigorifero), purché il disordine totale del sistema isolato
universo, sia in aumento. Per dimostrare questa idea si può fare un
esperimento. Si disciolgano alcuni milligrammi di zucchero e di Sali minerali
(che contengano i costituenti chimici degli esseri viventi) dentro un
centimetro cubo di acqua. Si inserisca
un batterio di Escherichia Coli all’interno della soluzione. Entro 36
ore si svilupperanno miliardi di batteri e si constaterà che il 40% dello
zucchero è stato convertito in costituenti cellulari. Ciò potrebbe apparire
come un andamento verso l’ordine del sistema sottoposto a esperimento. In
realtà se si misura con un calorimetro il bilancio termodinamico
dell’operazione si noterà che l’entropia all’intero del sistema è aumentata,
proprio come previsto dalla seconda legge della termodinamica.
L’origine
della vita
Il nostro viaggio nella conoscenza della vita per
quanto riguarda la sua origine ed evoluzione comincia da qui. I primi argomenti
che tratterò, esporranno alcune ipotesi su come la vita ha avuto inizio.
Secondo molti scienziati la vita può essersi
sviluppata in due modi: dalla materia abiotica (abiogenesi) o trasportata dalle
comete ( panspermia).
Abiogenesi
Impetuosi vulcani emettevano enormi getti di
lava, fulmini e saette dominavano incontrastati i cieli, e un’atmosfera
irrespirabile composta da ammoniaca ed altri elementi sorgeva sul nostro
pianeta. Un luogo totalmente ospitale appariva in quel tempo la Terra. Nessuna
forma di vita poteva resistere a quelle enormi temperature e a quelle estreme
condizioni climatiche. Ma forse la risposta a come si è originata la vita risiede
proprio in quel tempo, circa 4 miliardi di anni fa, quando l’uomo non era
nemmeno un pensiero nella mente di Dio.
La prima ipotesi sull’origine della vita afferma
che la materia inorganica (tutto ciò che è inanimato come le rocce, l’acqua
etc.), sottoposta a determinate condizioni, possa generare materia organica
sottoforma di molecole complesse. Ogni cosa che esiste è composta da atomi, il
cui numero di elettroni, protoni e neutroni ne definisce l’elemento. Noi stessi
siamo costituiti interamente da atomi. Ma allora cos’è che ci rende superiori
ad una roccia o a qualsiasi altra forma di materia inanimata? Beh il fatto che
i nostri atomi si uniscono in molecole complesse, molto più complesse di quelle
delle rocce. Come ho già detto, però, la complessità non è il parametro di
distinzione tra materia biotica e abiotica, ma ai fini descrittivi di questa
ipotesi, devo asserire che la complessità sia comunque un parametro essenziale.
Ma come ha fatto la vita a generarsi dalla materia abiotica? Probabilmente
fattori puramente casuali di organizzazione hanno portato alla complessità
molecolare che distingue la vita. Quindi attraverso un grande rimescolamento di
molecole nel brodo primordiale, la materia inorganica, può, casualmente,
essersi trasformata in materia organica.
Per dimostrare tutto ciò, il fisico Stantley Miller, negli anni
cinquanta, fece un esperimento con il quale riuscì ad ottenere qualche
amminoacido (i componenti fondamentali delle proteine) in provetta. La sua
intenzione era di ricreare le stesse condizioni della Terra primordiale, quando
ancora era in assestamento con enormi eruzioni, grandi quantità di fulmini etc.
Lo scienziato mise dentro un’ampolla i composti principali dell’atmosfera di
quel tempo: ammoniaca, metano, idrogeno e vapore acqueo. Inoltre riprodusse i
fulmini utilizzando scariche elettriche. Il risultato, dopo due giorni, fu che
nel fondo dell’ampolla vi erano depositati gli amminoacidi fondamentali. Questo
non significa che la teoria sia certa, in quanto non bastano dei semplici
amminoacidi a formare la vita; ma di certo è un passo avanti per la credibilità
di tale teoria. Insomma, in fin dei conti, l’ipotesi dell’abiogenesi afferma
che la materia inanimata, messa sotto determinate condizioni generi
spontaneamente la vita.
Ipercicli
In senno alla teoria della complessità, l’ipotesi
dell’abiogenesi ha acquistato una struttura molto più profonda e accurata. Se i
fattori che hanno messo insieme le molecole complesse fossero stati puramente
casuali, la vita avrebbe richiesto un tempo molto maggiore per svilupparsi; 4,5
miliardi di anni sarebbe stato un tempo relativamente breve affinché
l’evoluzione sfociasse nella produzione dell’uomo. Spesso, per rappresentare
questa idea, si fa riferimento ad un esempio classico: se mettessimo in una
stanza un determinato numero di scimmie in grado di premere i tasti di una
macchina da scrivere, quanto tempo ci vorrebbe affinché dai loro movimenti
casuali venisse scritta la “Divina Commedia”? Tutto dipende dal tempo a
disposizione delle scimmie e dal loro numero. Sicuramente, però, alcuni fattori
potrebbero facilitarle. Numero uno, se ad ogni produzione fossero mantenute le
frasi azzeccate ed eliminate quelle inutili, la velocità di produzione sarebbe
molto maggiore. E questo avviene analogamente grazie all’evoluzione. Numero
due, se qualche particolare meccanismo potesse determinare l’aumento
dell’ordine intrinseco nel movimento delle dita delle scimmie, magari con
qualche meccanismo di retroazione, il prodotto risultante sarebbe molto meno casuale
e acquisterebbe le proprietà di un progetto. E ciò dovrebbe essere determinato
dai meccanismi ecologici naturali. Il problema è che entrambe le soluzioni che
vi ho appena descritto, funzionano certamente bene dal momento in cui si parla
di materia biotica, e quindi di vita, ma per quanto riguarda la materia
abiotica, tali meccanismi possono aver portato allo sviluppo accelerato della
materia biotica? Quindi la materia abiotica può aver innescato qualche
meccanismo classico della vita, per poter produrre la vita stessa?
Probabilmente per quanto riguarda il secondo punto, quello per cui l’ordine
interno della materia possa crescere attraverso meccanismi di retroazione, la
risposta è affermativa. Manfred Eigen ipotizzò che l’origine della vita derivi
da un processo di organizzazione di molecole, che hanno la caratteristica di
retroazione in ipercicli. In pratica la classica caratteristica di retroazione
dei sistemi complessi, secondo Eigen, potrebbe avvenire anche a livello
prebiotico (nello stadio intermedio tra materia abiotica e biotica). In questo
modo i sistemi chimici (molecole) con questa facoltà, potrebbero
auto-organizzarsi in modo da aumentare di volta in volta la loro complessità.
Ciò favorirebbe la comparsa della materia biotica dalla materia abiotica.
Gli ipercicli di Eigen sono quei cicli di cui ogni anello è un
anello catalitico. Un anello catalitico è un anello di retroazione composto da
molecole catalizzatrici, come gli enzimi, che servono ad accelerare un
processo. Quindi, sempre secondo Eigen, gli ipercicli e quindi i cicli
catalizzatori, sarebbero la materia prebiotica che attraverso meccanismi di
retroazione hanno anticipato l’arrivo della materia biotica.
Panspermia
Secondo l’ipotesi della Panspermia, la vita è
arrivata sulla Terra grazie ai meteoriti e le comete. L’idea generale è che le
molecole fondamentali per lo sviluppo della vita siano sparse nell’intero
universo; nel momento in cui “i semi” vengono gettati sui pianeti attraverso i
meteoriti, la vita ha inizio. Questa ipotesi è viva dal tempo dei filosofi
greci con Anassagora ed è stata ripresa da molti fisici, tra cui, nei primi del
novecento da Svante Arrhenius, premio Nobel svedese. A
rafforzare questa ipotesi ci ha pensato la sonda Stardast, il cui scopo era
catturare materiale dalla scia di una cometa. Al suo ritorno sulla Terra sono
stati trovati materiali organici e molecole complesse intrappolati nell’Aerogel
(composto ad alta densità utilizzato per la cattura delle polveri della
cometa).
Tutto si
mescola; tutto si origina
Comunque sia andata, la vita sulla Terra ha avuto origine ed
essa, probabilmente, è partita da un unico progenitore comune.
La Terra dopo un raffreddamento durato un miliardo di anni, si
trovava in una condizione molto favorevole affinché la vita avesse origine: la
sua distanza dal Sole era ottimale (anche se a quel tempo il Sole era il 25%
più luminoso dell’attuale), e il carbonio, che è l’elemento basilare per lo
sviluppo della vita, si stava unendo ad altri elementi come l’idrogeno,
l’ossigeno, l’azoto e fosforo. In questa situazione di brodo primordiale,
probabilmente la materia abiotica si è trasformata in prebiotica (formando i
catalizzatori come gli enzimi) e successivamente, attraverso meccanismi di
auto-organizzazione, la materia biotica è sbocciata da quella prebiotica.
Comunque sia, non sono ancora chiari i
meccanismi che hanno portato alla costruzione di molecole come il DNA o l’RNA,
ma si sa che i primi organismi ad abitare la Terra erano unicellulari. Questi
organismi erano composti da una sola cellula, ma avevano comunque la capacità
di nutrirsi e di riprodursi. Ma di cosa si nutrivano a quel tempo? Secondo
alcuni scienziati il loro nutrimento derivava dalla generazione abiotica di
composti organici in forme primitive: le reazioni chimiche che scaturivano
nell’atmosfera grazie ai fulmini e ai composti, generavano materiale organico.
Naturalmente il fatto che questi organismi primitivi, simili ai batteri di oggi,
vivessero in colonie di miliardi e miliardi di individui, contribuiva ad
aumentare le loro probabilità di sopravvivenza. Infatti, per quanto la Terra si
trovasse in condizioni ottimali per lo sviluppo della vita, non era nemmeno
lontanamente paragonabile al paradiso in cui viviamo oggi. Meteoriti di ogni
dimensione cadevano continuamente sul suolo terrestre; la luce del Sole era
molto intensa, e inoltre vi erano inondazioni, siccità e eruzioni vulcaniche.
Ma tutto questo non fermò lo sviluppo della vita, anzi probabilmente è grazie
ai periodi di crisi che i sistemi complessi producono nuovi caratteri
emergenti. Se ci pensate, infatti, è grazie all’estinzione dei Dinosauri se i
mammiferi hanno potuto prendere il sopravvento sulle altre specie, per arrivare
fino al domino dell’uomo. Fatto sta che i batteri erano moltissimi e la loro
scalata verso una maggiore complessità non si è arrestata, anzi, come il
battito di ali di una farfalla, hanno dettato le condizioni iniziali affinché
l’evoluzione avesse inizio.
L’energia per la vita
I batteri presenti a quel tempo sulla Terra, utilizzavano
principalmente tre metodi per estrarre energia dall’ambiente. Il più importante
era la fermentazione, e avveniva attraverso un processo di ossidazione
anaerobica: il batterio estraeva energia dai carboidrati traducendolo
sottoforma di ATP. In questo modo creava una riserva di energia all’interno
dell’organismo che poteva essere utilizzata nel corso del tempo. Altri batteri
svilupparono la capacità di fissare l’azoto, che, nonostante sia un processo che
necessita di enormi quantità di energia, è fondamentale per tutti gli altri
esseri viventi.* Altri batteri avevano cominciato ad utilizzare la fotosintesi
come processo estrattivo di energia. Ma il primo tipo di fotosintesi era molto
diverso da quello che utilizzano le piante al giorno d’oggi. Infatti i primi
batteri foto sintetizzatori estraevano l’idrogeno dal solfuro di idrogeno
espulso dai vulcani, e lo univano alla radiazione solare e al CO2 per produrre composti organici; il tutto senza produrre
ossigeno come composto di scarto. Tuttavia l’utilizzo della co2 per la
fotosintesi produceva un problema molto grave. A quel tempo il Sole illuminava
la Terra con una intensità minore del 25%, perciò l’effetto serra prodotto
dalla co2 era fondamentale per mantenere una temperatura accettabile. Quindi il
fatto che i foto sintetizzatori utilizzassero buona parte della co2, comportava
una diminuzione dell’effetto serra, con conseguente abbassamento delle
temperature. Ad evitare la catastrofe ci pensarono i fermentatori che durante
la sintesi delle molecole di ATP producevano metano e co2 come prodotti di
scarto. In questo modo la tendenza all’equilibrio era garantita.
I carboidrati sono composti principalmente da carbonio,
ossigeno e idrogeno, e la loro esistenza è una prerogativa fondamentale per
qualsiasi forma vivente, in quanto forniscono l’energia necessaria per il
proprio sostentamento. Per la costruzione di queste strutture, i primi esseri
viventi, utilizzavano i tre metodi che vi ho introdotto nel paragrafo
precedente. Ma per la seconda volta i foto sintetizzatori comportavano un
problema: il solfuro d’idrogeno utilizzato da questi batteri per estrarre
l’idrogeno, a un certo punto non fu più sufficiente; dovettero quindi
rivolgersi alle molecole di acqua. Naturalmente il legame molecolare dell’acqua
è molto più forte di quello del solfuro d’idrogeno, perciò i batteri non furono
più in grado di rompere questi legami. In compenso, a risolvere il problema, ci
pensarono le alghe verdi-azzurre, inventando un nuova fotosintesi che
utilizzava la radiazione solare di frequenza più alta. In questo modo i legami
molecolari dell’acqua venivano rotti, e gli atomi di idrogeno potevano essere
utilizzati per la costruzione dei carboidrati. Il problema, però, era che il
prodotto di scarto di questa reazione comportava l’immissione di grandi
quantità di ossigeno nell’atmosfera. L’ossigeno, inoltre, era tossico per la
maggior parte delle specie: sorgeva dunque un enorme problema per la
sopravvivenza della vita sulla Terra. Infatti molte specie scomparvero, e i
batteri dovettero riorganizzarsi rapidamente per poter contrastare questa
emergenza. Tutto si risolse quando i batteri verdi-azzurri
architettarono il modo per utilizzare il loro prodotto di scarto per poter
migliorare l’efficienza del loro metabolismo: inventarono la respirazione. In
questo modo tali batteri poterono mantenere l’equilibrio di ossigeno presente
nell’atmosfera a livelli stabili, attraverso anelli di retroazione. Infatti le
quantità di ossigeno presenti nell’atmosfera dovevano (e devono tutt’ora)
rimanere entro determinati valori (circa 21%); altrimenti sopra una certa
soglia (25%) tutto brucerebbe, mentre sotto un’altra soglia (15%) niente
brucerebbe.
La vita si fa complessa
Tutto ciò ha un’implicazione profonda nella visione della vita
come lotta di classe. Infatti, come è ben radicato negli insegnamenti
scolastici e nella cultura generale, la vita presuppone una lotta continua tra
organismi che tentano di imporre il proprio dominio. Diciamo che nella cultura
generale è ben radicata la credenza che la vita segua le regole della legge
della giungla: dagli animali al mondo del lavoro; chi è più forte domina sugli
altri. Il fatto, però, che le cellule nucleate si siano evolute grazie alla
simbiosi, presuppone che il progresso
sia spesso determinato della cooperazione. Quindi non sempre la natura impone
che i sistemi viventi siano in competizione, anzi molte volte la cooperazione è
una necessità.
Volvox: il primo
organismo che sa morire
Il Volvox è tutt’ora presente sulla Terra ed è
stato il primo organismo ad aver imparato a morire. Nel senso che per la prima
volta nella storia dei batteri un genitore si disintegrava in vantaggio del
figlio. Questo fatto che può apparire come un errore, è, se riflettuto, una
straordinaria invenzione della natura per garantire l’evoluzione e la
continuazione della specie. In primo luogo perché le mutazioni genetiche
necessarie per l’evoluzione sono più probabili negli organismi vecchi. In
secondo luogo, il fatto che il Volvox abbia imparato a morire, è importante
perché conclude il ciclo vitale nella sua più profonda essenza: se ogni essere
avesse vita eterna dopo un po’ non ci sarebbe più posto per nessuno, la Terra
diventerebbe un luogo inabitabile. Inoltre, se ci pensate, la natura delle cose
ha le radici nel cerchio: ogni cosa che esiste nel modo è ciclica, la sua
essenza trova l’apice nella conclusione di un ciclo. Se la vita fosse lineare
ed infinita il cerchio non potrebbe concludersi, non ci sarebbe posto per
altri. Il cerchio della vita obbliga ogni individuo a morire, ma non perché il
mondo sia ingiusto o perché la vita si prenda gioco di noi, ma semplicemente
perché dobbiamo fare posto ad i nostri figli. Il cerchio per sua natura non ha
fine, come non hanno fine le nostre vite dopo la morte, per il semplice fatto
che ormai facciamo parte della natura. Il nostro corpo vede la sua fine a causa
della degradazione entropica, ma questo non è importante, l’importante sono gli
insegnamenti che daremo nelle nostra vita, il modo in cui educheremo i nostri
figli e quello che gli lasceremo. Per quanto riguarda il corpo, esso è solo una
forma di energia e per quanto tale non può essere distrutta: finiremo per
alimentare qualche altra bocca e così la nostra energia sarà solo trasportata,
non eliminata. Così avviene in ogni specie (tranne in alcuni batteri) e anche
noi non facciamo eccezione. Dobbiamo solo prendere consapevolezza della morte e
comprendere che per quanto religiosi oppure no, facciamo tutti parte della natura
e con lei esisteremo in eterno. Magari in altre forme, ma esisteremo.
L’inizio
della respirazione
Circa 400 milioni di anni fa la percentuale di
ossigeno presente nell’atmosfera aveva raggiunto livelli molto elevati, così da
essere tossico per molte specie. Alcuni organismi, quindi, cercarono un modo
per utilizzare l’ossigeno a loro favore, così che, con un evoluzione durata
moltissimi anni, alcune specie hanno iniziato ad utilizzare l’ossigeno per la
respirazione. L’utilizzo dell’ossigeno permetteva ai fermentatori di ossidare
le sostanze fermentate, in modo da ottenere molta più energia. Ciò consenti uno
sviluppo molto più complesso della vita.
Lo sbarco
sulla terraferma
Sempre 400 milioni di anni fa i primi organismi
vegetali sbarcarono sulla terraferma. Come ciò sia avvenuto resta ancora un
mistero, anche se probabilmente le maree hanno contribuito in maniera
sostanziale. Infatti grazie all’azione gravitazionale della Luna, le acque
lasciano periodicamente spazio alla terra in molte zone del nostro pianeta;
cosicché alcuni organismi, rimanendo intrappolati nella terraferma, hanno
potuto sviluppare dei prototipi di polmoni. In seguito allo sbarco dei
vegetali, circa 380 milioni di anni fa, anche i primi animali uscirono dagli
oceani per iniziare ad esplorare il mondo emerso. Per quanto riguarda
quest’ultimi, molti studiosi sono convinti che l’avvento dei polmoni sia
derivato da una malformazione dell’esofago. Probabilmente la causa di queste
malformazioni sono state le estroflessioni (ernie) che hanno creato delle
sacche in grado di trattenere l’aria. Molti pesci quindi, sono diventati
polmonati, oltre naturalmente ad aver acquisito più durezza nelle pinne, in
modo da potersi spostare liberamente sulla terraferma. Tra i pesci polmonati e
i primi animali a mettere piede sulla terraferma, però, è passato molto tempo.
Infatti si crede che i primi esseri, dopo le alghe, a uscire dagli oceani,
siano stati dei lontani parenti dei nostri millepiedi. Il loro apparato
respiratorio consisteva in molte fessure presenti negli anelli da cui era
composto il loro corpo, che, attraverso dei canali, portavano ossigeno a tutte
le cellule.
Comunque sia, l’impresa compiuta dalla vita nello sbarco sulla
terraferma è stata di incredibile portata. Gli esseri viventi hanno dovuto modificare
sostanzialmente molti organi e apparati, comportando una grande sfida per il
processo evolutivo, favorita indubbiamente dalla innovazione costituita dal
calcio. Tale elemento deve essere mantenuto entro valori precisi all’interno
del corpo, per favorire determinati tipi di metabolismo, e per permettere lo
sviluppo dei muscoli. Inizialmente gli organismi hanno eliminato il calcio in
eccesso comportando la formazione delle barriere coralline; e in seguito il
calcio è stato integrato all’interno dell’organismo determinando la formazione
di ossa e cartilagini.
I primi
rettili
Il passaggio più importante dopo lo sbarco sulla
terraferma è stato il passaggio dagli anfibi ai rettili; la cui forza
consisteva nell’uovo amniotico. Questo tipo di uovo ha una membrana che
inizialmente si trova a contatto con l’embrione, e che successivamente si
riempie di liquido amniotico, la cui funzione è quella di non disidratare il
piccolo e di proteggerlo dagli urti. In questo modo i rettili poterono
avventurarsi nella terra inoltrata, senza correre rischi di disidratazione per
i piccoli. Per quanto riguarda gli adulti, essi avevano acquisito un apparato
polmonare tale, che gli permetteva di tenere umida la pelle attraverso la
respirazione. Tutto questo è la chiara prova che le nostre origini derivano
dagli oceani. Il nostro corpo è infatti composto per il 70% di acqua salata, e
le nostre donne portano in grembo i nostri figli nella sacca amniotica, i quali
passano lo stato prenatale in condizioni analoghe a quelle dei pesci.
Secondo il paleontologo Dale Russel i primi
cervelli non si trovavano nelle teste degli organismi, bensì nella periferia
del loro corpo: probabilmente le cellule a contatto con il mondo esterno hanno
iniziato a diventare sensibili agli stimoli. Successivamente attraverso
l’evoluzione, queste cellule sensibili, i neuroni, si sono spostati nella parte
che esplora il mondo: la testa. A questo punto è apparso il cranio che aveva, e
ha tutt’ora, la funzione di proteggere la parte più sensibile del corpo. Il
cervello degli animali, infatti, a differenza di come si potrebbe pensare, non
è profondamente diverso dal nostro. I meccanismi e le strutture sono identiche,
la differenza sta nella complessità, e quindi come abbiamo ripetuto mille
volte, nel numero di elementi, ma soprattutto nel numero delle interazioni.
I dinosauri
Per 170 milioni di anni la terra è stata dominata
dai dinosauri. Il loro dominio ha evitato l’emergere dei mammiferi,
confinandoli al ruolo di piccoli predatori. Probabilmente, questi grossi
lucertoloni, sono diventati molto famosi
in conseguenza delle loro enormi corporature. In realtà molti dinosauri avevano
le dimensioni di un comune cane, anche se la maggior parte raggiungeva svariati
metri di altezza. In particolare la famiglia dei sauropodi, appartenenti al
gruppo dei dinosauri verticali, aveva diversi esponenti che spiccavano su tutti
gli altri: il Supersaurus raggiungeva
i 16-17 metri di altezza per 25-30 metri di lunghezza, l’Ultrasaurus superava i 30 metri e poteva pesare dalle 80 alle 130
tonnellate, e infine il Sismosaurus
di cui è stata ipotizzata una lunghezza di 48 metri. La loro grande era di
dominio finì 65 milioni di anni fa, quando un grande cataclisma si abbatté
sulla Terra. Molte ipotesi sono state proposte per spiegare questa grande
estinzione di massa, tra cui i mammiferi mangia uova o le enormi eruzioni
vulcaniche, anche se, con pochi dubbi, il dibattito si è chiuso quasi
certamente in favore del meteorite che si è abbattuto sulla Terra. Infatti,
forti concentrazioni di iridio sono state osservate nell’enorme cratere di 170
km di diametro, nella penisola dello Yucàtan. L’iridio è un elemento che si
ritrova in grandi quantità all’interno dei meteoriti o delle comete. Inoltre,
nelle stratificazioni risalenti a 65 milioni di anni fa, sono stati ritrovati
tracce del solito elemento. Per tutti questi motivi l’ipotesi del meteorite ad
oggi è la più sensata. Naturalmente non tutti i dinosauri sono stati abbattuti
dall’esplosione del meteorite, infatti, la vera carneficina è stata causata dai
forti cambiamenti climatici avvenuti sulla terra in seguito all’impatto. Pochi
secondi dopo l’urto un enorme Tsunami uccise tutti i dinosauri presenti nelle
zone adiacenti al cratere. Successivamente la polvere e i detriti scaraventati
nell’atmosfera, oscurarono l’intero pianeta, impedendo il passaggio della luce
solare per diversi mesi. E questa, probabilmente, è la causa principale
dell’estinzione.
Il
sopravvento dei mammiferi
L’impatto del meteorite non spazzò via la vita
dalla Terra definitivamente. Circa il 10% delle specie presenti sul nostro
pianeta sopravvissero; anche se una sola classe animale era destinata a
prendersi il domino del pianeta.
I mammiferi sono stati confinati nel ruolo di piccoli roditori
per milioni di anni, a causa della presenza dei dinosauri. In seguito alla
grande estinzione, però, i mammiferi hanno potuto evolversi più grandi e
intelligenti; cosicché, con una evoluzione durata decine di milioni di anni,
una specie di mammiferi ha evoluto il suo cervello fino ad acquisire la
ragione: da quel momento l’uomo ha dominato il mondo, lo ha modificato e lo ha
costruito. Abbiamo pensato e agito, grazie alla potenza della nostra mente
siamo stati in grado di erigere le piramidi, la muraglia cinese e il Colosseo,
ma soprattutto abbiamo costruito la nostra società e grazie ad essa noi non
siamo più animali, ma uomini. Ma questa è un’altra storia.
L’uomo
L’avventura evolutiva degli esseri viventi, 4
milioni di anni fa, raggiunse un cambiamento radicale. I mammiferi che avevano
preso il sopravvento in seguito all’estinzione dei Dinosauri, diventarono
bipedi e iniziarono a camminare in maniera eretta. La prima specie classificata
con queste caratteristiche è l’Australopithecus: una scimmia antropomorfa che 3
o 4 milioni di anni fa si evolse nelle prime specie di Homo. Da quel momento in
poi la corporatura degli individui si fece sempre più robusta e la corteccia
celebrale iniziò a svilupparsi in maniera irreversibile. Il fatto, inoltre, che
questi mammiferi avessero due arti liberi, permise loro di sviluppare la
capacità di utilizzare utensili e strumenti, in modo da sviluppare una
complessa corteccia celebrale. La prima specie di Homo conosciuta, prende il
nome di Homo Abilis, seguita a ruota dall’Homo Erectus. Questa specie possedeva
(probabilmente) la capacità di controllare il fuoco, già 1.4 miliardi di anni
fa. Homo Erectus fu la prima specie ad abbandonare le calde terre tropicali,
per dirigersi più a nord, dove la temperatura era decisamente più fredda.
Infatti il periodo della comparsa delle prime specie di Homo, combacia
precisamente con l’epoca delle glaciazioni. Durante quel periodo si
svilupparono specie come i Mammut, bisonti e molti animali dalle
caratteristiche necessarie per il sostentamento dal freddo. L’Homo Erectus
riusciva a sopravvivere in quelle condizioni grazie all’utilizzo
dell’intelligenza; riusciva a costruire sassi a punta per la caccia, si
scaldava con il fuoco, produceva
pellicce e viveva nelle caverne. Intanto tra 400.000 e 250.000 anni fa
l’Homo Erectus si stava evolvendo in Homo Sapiens (la nostra specie), e
distintamente nell’Homo di Neanderthal nelle zone europee. In questo modo si
formarono due gruppi distinti di specie appartenenti allo stesso genere. Il
fatto, però, che l’Homo sapiens permane tutt’oggi con la popolazione umana,
mentre l’Homo di Neanderthal si estinse circa 40.000 anni fa, denota un
cambiamento radicale nelle zone dei Neanderthal. Come questo sia successo resta
tutt’ora un mistero, anche se probabilmente, l’estinzione, è stata determinata
dalla forte attività vulcanica che sconvolse il clima europeo, proprio in quel
periodo. Fatto sta che il processo evolutivo ha portato i primi ominidi a
diventare quello che noi siamo oggi.
La
caratteristica peculiare dell’uomo
La caratteristica peculiare emersa nell’uomo, è
la sua capacità di fare distinzione tra il bene e il male; tra giusto e
sbagliato.
Probabilmente la formazione di una mente complessa in grado di
risolvere problemi e di porsi quesiti, deriva da una mutazione nella tempistica
del parto. Se si osservano tutte le specie animali si può notare che i neonati
hanno già la facoltà di muoversi e di gestire le prime situazioni. Naturalmente
tutti i piccoli appena nati hanno bisogno degli insegnamenti delle madri, ma le
caratteristiche fisiche necessarie per il proprio sostentamento sono già
sviluppate. Nel parto umano, i bambini nascono totalmente inermi, e non sono in
grado di svolgere nessun tipo di azione. È come se i piccoli della nostra
specie nascessero prematuri. Quindi, probabilmente, la tempistica del parto ha
subito una mutazione in seguito alle nascite premature di alcuni piccoli, in
epoche lontane, risalenti all’era dell’homo australopiteco. Queste nascite
premature hanno consentito ai geni mutati nel DNA dei figli, di andarsi ad
unire ai geni di soggetti nati non prematuramente. Ciò, nel corso di milioni di
anni, ha portato a diventare regola, un eccezione. Cosicché nella nostra
specie, tutti i piccoli nascono relativamente prematuri. Tutto ciò porta a fare
diventare necessaria un’utilizzazione della coscienza in senno alla cura della
prole. Le madri hanno dovuto sviluppare una capacità mentale in grado di
sostenere i figli nei primi anni di vita. Di conseguenza gli uomini della
nostra specie hanno dovuto iniziare a proteggere il proprio nucleo familiare,
così da formare una capacità di prendere decisioni molto più complessa delle
altre specie. In questo modo si sono iniziate a formare le prime società basate
sulla famiglia, e l’evoluzione di questi ominidi ha portato alla nascita
dell’uomo moderno.
Nessun commento:
Posta un commento