Origine della vita--


Le proprietà generali degli esseri viventi

Che differenza c’è tra vivo e inerte? Cosa ci distingue da un sasso? Qualsiasi persona a cui venissero poste queste domante, quasi sicuramente risponderebbe che la differenza c’è, ed è evidente. Ma è proprio così? Per prima cosa, sia gli esseri viventi che la materia inerte, sono composti da atomi. In entrambi i sistemi, inoltre, gli atomi si organizzano in molecole. A questo punto possiamo dire che la struttura molecolare degli esseri viventi è estremamente più complessa della materia inerte, ma ciò non basterebbe a chiarire la differenza tra ciò che è vivo e ciò che non lo è. Infatti non potremmo dire a che livello di complessità si trova la linea di confine tra i due schieramenti, in quanto i fattori che compongono la complessità sono molteplici e differenti tra caso a caso. Allora proviamo a definire alcune proprietà che definiscono una volta per tutte la differenza tra vivente e non vivente. Per fare questo impiegherò lo stesso esempio utilizzato da Jaques Monod nel libro “Il caso e la necessità”. La prima proprietà degli esseri viventi è di essere dotati di progetto. Ma vediamo di cosa si tratta. Pensate di non aver mai visto niente di quello che esiste sulla Terra; pensate di essere alieni di un altro pianeta e di venire per la prima volta ad esplorare il comportamento degli umani. Il compito a voi assegnato sarà di conoscere e catalogare gli oggetti creati dall’uomo (artefatti), ma siccome non avete oggetti di riferimento da confrontare, dovete in qualche modo realizzare un metodo di interpretazione oggettivo. Per prima cosa dovrete focalizzare la vostra attenzione sugli oggetti dotati di un struttura regolare e ripetitiva. Sicuramente, infatti, nel vostro percorso incontrerete molti oggetti come, coltelli, seggiole, televisioni, etc;  a quegli oggetti attribuirete l’attributo di antropici. Ma se con il solito criterio osservaste un favo delle api, cosa dedurreste? Senza dubbio attribuireste anche ad esso, l’attributo di antropico. Dunque, in seguito a questa considerazione, è facile comprendere come non vi sia una differenza lampante tra il prodotto dell’uomo e il prodotto di un organizzazione naturale vivente, come le api. Abbiamo quindi compreso, come i prodotti degli esseri viventi siano anch’essi dotati di progetto. Ma andiamo oltre. Nonostante sia molto più avanzato, il sistema da voi adoperato per catalogare gli oggetti sulla Terra, è analogo alle nostre fotocamere digitali. A questo punto potrete comprendere che il funzionamento degli occhi degli esseri viventi è in qualche modo correlato a quello delle fotocamere, e quindi capirete che anche gli esseri viventi stessi, e non solo quello che producono, sono dotati di progetto. Questa è la prima proprietà degli esseri viventi e si chiama teleonomia. Ma ora pensate di incontrare per la prima volta sul vostro precorso di esploratori terrestri, un cristallo. Che cosa vi viene in mente? Anche questo deve essere un prodotto di un essere vivente, e quindi deve avere un progettista alle spalle. Ma non è così, infatti i cristalli hanno la peculiarità di riportare nel macromondo la loro struttura microscopica. Per questo la teleonomia non è sufficiente a definire gli esseri viventi, ma vediamo se con altre proprietà ci riusciamo.

Come si forma la forma di un sasso? Può sembrare un gioco di parole, ma è una domanda seria. Quali sono, infatti, le forze che modellano la forma di un sasso? Beh i fattori in gioco sono molti, come ad esempio l’energia cinetica di un fiume, o l’energia potenziale di un pezzo di monte che sta per franare. Ma in ogni caso il sasso è modellato da forze esterne ad esso. Nel caso degli esseri viventi la situazione è diversa. Infatti a dare la forma ai singoli individui di ogni specie, ci pensano le interazioni morfogenetiche interne. Le forze che danno forma agli organismi viventi, sono interne all’individuo stesso; il modellamento avviene dall’interno. Questa proprietà prende il nome di morfogenesi autonoma. Anche qui però i cristalli rovinano tutto, infatti, anche loro vengono modellati rispetto alla loro struttura interna, e quindi anche la morfogenesi interna non è sufficiente a descrivere gli esseri viventi. L’ultima proprietà che ci permetterà davvero di distinguere ciò che vive e ciò che è inerte, è la più incredibile: ovvero la capacità di trasmettere l’informazione di generazione in generazione. Infatti l’insieme delle strutture degli esseri viventi è costituito da informazione; come nel caso delle cellule, le quali contengono, ognuna, l’intero DNA dell’organismo. In questo modo, l’individuo, attraverso la riproduzione, con una singola cellula, potrà conservare la propria struttura in un altro organismo. Questa capacità di conservare la propria struttura si chiama invarianza strutturale. Ecco, dunque, che abbiamo finito di comprendere le proprietà che distinguono gli esseri viventi, dalla materia inerte.

La vita va contro al secondo principio della termodinamica?

Ad una prima analisi, la vita, risulta essere in contrasto con il secondo principio della termodinamica. Secondo tale principio, infatti, la freccia del tempo scorre nella solita direzione della freccia termodinamica, secondo cui l’ordine va sempre verso il disordine. La teleonomia, però, presuppone l’esistenza di un progetto negli esseri viventi. E questo progetto sembrerebbe implicare che gli esseri viventi siano frutto di ordine dal disordine, anche se, in realtà, le cose sono un po’ diverse. Infatti la termodinamica permette l’aumento di ordine all’interno di un sistema non isolato (come un frigorifero), purché il disordine totale del sistema isolato universo, sia in aumento. Per dimostrare questa idea si può fare un esperimento. Si disciolgano alcuni milligrammi di zucchero e di Sali minerali (che contengano i costituenti chimici degli esseri viventi) dentro un centimetro cubo di acqua. Si inserisca  un batterio di Escherichia Coli all’interno della soluzione. Entro 36 ore si svilupperanno miliardi di batteri e si constaterà che il 40% dello zucchero è stato convertito in costituenti cellulari. Ciò potrebbe apparire come un andamento verso l’ordine del sistema sottoposto a esperimento. In realtà se si misura con un calorimetro il bilancio termodinamico dell’operazione si noterà che l’entropia all’intero del sistema è aumentata, proprio come previsto dalla seconda legge della termodinamica.

L’origine della vita

Il nostro viaggio nella conoscenza della vita per quanto riguarda la sua origine ed evoluzione comincia da qui. I primi argomenti che tratterò, esporranno alcune ipotesi su come la vita ha avuto inizio.

Secondo molti scienziati la vita può essersi sviluppata in due modi: dalla materia abiotica (abiogenesi) o trasportata dalle comete ( panspermia).

Abiogenesi

Impetuosi vulcani emettevano enormi getti di lava, fulmini e saette dominavano incontrastati i cieli, e un’atmosfera irrespirabile composta da ammoniaca ed altri elementi sorgeva sul nostro pianeta. Un luogo totalmente ospitale appariva in quel tempo la Terra. Nessuna forma di vita poteva resistere a quelle enormi temperature e a quelle estreme condizioni climatiche. Ma forse la risposta a come si è originata la vita risiede proprio in quel tempo, circa 4 miliardi di anni fa, quando l’uomo non era nemmeno un pensiero nella mente di Dio. 

La prima ipotesi sull’origine della vita afferma che la materia inorganica (tutto ciò che è inanimato come le rocce, l’acqua etc.), sottoposta a determinate condizioni, possa generare materia organica sottoforma di molecole complesse. Ogni cosa che esiste è composta da atomi, il cui numero di elettroni, protoni e neutroni ne definisce l’elemento. Noi stessi siamo costituiti interamente da atomi. Ma allora cos’è che ci rende superiori ad una roccia o a qualsiasi altra forma di materia inanimata? Beh il fatto che i nostri atomi si uniscono in molecole complesse, molto più complesse di quelle delle rocce. Come ho già detto, però, la complessità non è il parametro di distinzione tra materia biotica e abiotica, ma ai fini descrittivi di questa ipotesi, devo asserire che la complessità sia comunque un parametro essenziale. Ma come ha fatto la vita a generarsi dalla materia abiotica? Probabilmente fattori puramente casuali di organizzazione hanno portato alla complessità molecolare che distingue la vita. Quindi attraverso un grande rimescolamento di molecole nel brodo primordiale, la materia inorganica, può, casualmente, essersi trasformata in materia organica.  Per dimostrare tutto ciò, il fisico Stantley Miller, negli anni cinquanta, fece un esperimento con il quale riuscì ad ottenere qualche amminoacido (i componenti fondamentali delle proteine) in provetta. La sua intenzione era di ricreare le stesse condizioni della Terra primordiale, quando ancora era in assestamento con enormi eruzioni, grandi quantità di fulmini etc. Lo scienziato mise dentro un’ampolla i composti principali dell’atmosfera di quel tempo: ammoniaca, metano, idrogeno e vapore acqueo. Inoltre riprodusse i fulmini utilizzando scariche elettriche. Il risultato, dopo due giorni, fu che nel fondo dell’ampolla vi erano depositati gli amminoacidi fondamentali. Questo non significa che la teoria sia certa, in quanto non bastano dei semplici amminoacidi a formare la vita; ma di certo è un passo avanti per la credibilità di tale teoria. Insomma, in fin dei conti, l’ipotesi dell’abiogenesi afferma che la materia inanimata, messa sotto determinate condizioni generi spontaneamente la vita.

Ipercicli

In senno alla teoria della complessità, l’ipotesi dell’abiogenesi ha acquistato una struttura molto più profonda e accurata. Se i fattori che hanno messo insieme le molecole complesse fossero stati puramente casuali, la vita avrebbe richiesto un tempo molto maggiore per svilupparsi; 4,5 miliardi di anni sarebbe stato un tempo relativamente breve affinché l’evoluzione sfociasse nella produzione dell’uomo. Spesso, per rappresentare questa idea, si fa riferimento ad un esempio classico: se mettessimo in una stanza un determinato numero di scimmie in grado di premere i tasti di una macchina da scrivere, quanto tempo ci vorrebbe affinché dai loro movimenti casuali venisse scritta la “Divina Commedia”? Tutto dipende dal tempo a disposizione delle scimmie e dal loro numero. Sicuramente, però, alcuni fattori potrebbero facilitarle. Numero uno, se ad ogni produzione fossero mantenute le frasi azzeccate ed eliminate quelle inutili, la velocità di produzione sarebbe molto maggiore. E questo avviene analogamente grazie all’evoluzione. Numero due, se qualche particolare meccanismo potesse determinare l’aumento dell’ordine intrinseco nel movimento delle dita delle scimmie, magari con qualche meccanismo di retroazione, il prodotto risultante sarebbe molto meno casuale e acquisterebbe le proprietà di un progetto. E ciò dovrebbe essere determinato dai meccanismi ecologici naturali. Il problema è che entrambe le soluzioni che vi ho appena descritto, funzionano certamente bene dal momento in cui si parla di materia biotica, e quindi di vita, ma per quanto riguarda la materia abiotica, tali meccanismi possono aver portato allo sviluppo accelerato della materia biotica? Quindi la materia abiotica può aver innescato qualche meccanismo classico della vita, per poter produrre la vita stessa? Probabilmente per quanto riguarda il secondo punto, quello per cui l’ordine interno della materia possa crescere attraverso meccanismi di retroazione, la risposta è affermativa. Manfred Eigen ipotizzò che l’origine della vita derivi da un processo di organizzazione di molecole, che hanno la caratteristica di retroazione in ipercicli. In pratica la classica caratteristica di retroazione dei sistemi complessi, secondo Eigen, potrebbe avvenire anche a livello prebiotico (nello stadio intermedio tra materia abiotica e biotica). In questo modo i sistemi chimici (molecole) con questa facoltà, potrebbero auto-organizzarsi in modo da aumentare di volta in volta la loro complessità. Ciò favorirebbe la comparsa della materia biotica dalla materia abiotica.

Gli ipercicli di Eigen sono quei cicli di cui ogni anello è un anello catalitico. Un anello catalitico è un anello di retroazione composto da molecole catalizzatrici, come gli enzimi, che servono ad accelerare un processo. Quindi, sempre secondo Eigen, gli ipercicli e quindi i cicli catalizzatori, sarebbero la materia prebiotica che attraverso meccanismi di retroazione hanno anticipato l’arrivo della materia biotica.

Panspermia

Secondo l’ipotesi della Panspermia, la vita è arrivata sulla Terra grazie ai meteoriti e le comete. L’idea generale è che le molecole fondamentali per lo sviluppo della vita siano sparse nell’intero universo; nel momento in cui “i semi” vengono gettati sui pianeti attraverso i meteoriti, la vita ha inizio. Questa ipotesi è viva dal tempo dei filosofi greci con Anassagora ed è stata ripresa da molti fisici, tra cui, nei primi del novecento da Svante Arrhenius, premio Nobel svedese. A rafforzare questa ipotesi ci ha pensato la sonda Stardast, il cui scopo era catturare materiale dalla scia di una cometa. Al suo ritorno sulla Terra sono stati trovati materiali organici e molecole complesse intrappolati nell’Aerogel (composto ad alta densità utilizzato per la cattura delle polveri della cometa).

Tutto si mescola; tutto si origina

Comunque sia andata, la vita sulla Terra ha avuto origine ed essa, probabilmente, è partita da un unico progenitore comune.

La Terra dopo un raffreddamento durato un miliardo di anni, si trovava in una condizione molto favorevole affinché la vita avesse origine: la sua distanza dal Sole era ottimale (anche se a quel tempo il Sole era il 25% più luminoso dell’attuale), e il carbonio, che è l’elemento basilare per lo sviluppo della vita, si stava unendo ad altri elementi come l’idrogeno, l’ossigeno, l’azoto e fosforo. In questa situazione di brodo primordiale, probabilmente la materia abiotica si è trasformata in prebiotica (formando i catalizzatori come gli enzimi) e successivamente, attraverso meccanismi di auto-organizzazione, la materia biotica è sbocciata da quella prebiotica. Comunque sia,  non sono ancora chiari i meccanismi che hanno portato alla costruzione di molecole come il DNA o l’RNA, ma si sa che i primi organismi ad abitare la Terra erano unicellulari. Questi organismi erano composti da una sola cellula, ma avevano comunque la capacità di nutrirsi e di riprodursi. Ma di cosa si nutrivano a quel tempo? Secondo alcuni scienziati il loro nutrimento derivava dalla generazione abiotica di composti organici in forme primitive: le reazioni chimiche che scaturivano nell’atmosfera grazie ai fulmini e ai composti, generavano materiale organico. Naturalmente il fatto che questi organismi primitivi, simili ai batteri di oggi, vivessero in colonie di miliardi e miliardi di individui, contribuiva ad aumentare le loro probabilità di sopravvivenza. Infatti, per quanto la Terra si trovasse in condizioni ottimali per lo sviluppo della vita, non era nemmeno lontanamente paragonabile al paradiso in cui viviamo oggi. Meteoriti di ogni dimensione cadevano continuamente sul suolo terrestre; la luce del Sole era molto intensa, e inoltre vi erano inondazioni, siccità e eruzioni vulcaniche. Ma tutto questo non fermò lo sviluppo della vita, anzi probabilmente è grazie ai periodi di crisi che i sistemi complessi producono nuovi caratteri emergenti. Se ci pensate, infatti, è grazie all’estinzione dei Dinosauri se i mammiferi hanno potuto prendere il sopravvento sulle altre specie, per arrivare fino al domino dell’uomo. Fatto sta che i batteri erano moltissimi e la loro scalata verso una maggiore complessità non si è arrestata, anzi, come il battito di ali di una farfalla, hanno dettato le condizioni iniziali affinché l’evoluzione avesse inizio.

L’energia per la vita

I batteri presenti a quel tempo sulla Terra, utilizzavano principalmente tre metodi per estrarre energia dall’ambiente. Il più importante era la fermentazione, e avveniva attraverso un processo di ossidazione anaerobica: il batterio estraeva energia dai carboidrati traducendolo sottoforma di ATP. In questo modo creava una riserva di energia all’interno dell’organismo che poteva essere utilizzata nel corso del tempo. Altri batteri svilupparono la capacità di fissare l’azoto, che, nonostante sia un processo che necessita di enormi quantità di energia, è fondamentale per tutti gli altri esseri viventi.* Altri batteri avevano cominciato ad utilizzare la fotosintesi come processo estrattivo di energia. Ma il primo tipo di fotosintesi era molto diverso da quello che utilizzano le piante al giorno d’oggi. Infatti i primi batteri foto sintetizzatori estraevano l’idrogeno dal solfuro di idrogeno espulso dai vulcani, e lo univano alla radiazione solare e al CO2 per produrre composti organici; il tutto senza produrre ossigeno come composto di scarto. Tuttavia l’utilizzo della co2 per la fotosintesi produceva un problema molto grave. A quel tempo il Sole illuminava la Terra con una intensità minore del 25%, perciò l’effetto serra prodotto dalla co2 era fondamentale per mantenere una temperatura accettabile. Quindi il fatto che i foto sintetizzatori utilizzassero buona parte della co2, comportava una diminuzione dell’effetto serra, con conseguente abbassamento delle temperature. Ad evitare la catastrofe ci pensarono i fermentatori che durante la sintesi delle molecole di ATP producevano metano e co2 come prodotti di scarto. In questo modo la tendenza all’equilibrio era garantita.    

 Il problema dell’ossigeno

I carboidrati sono composti principalmente da carbonio, ossigeno e idrogeno, e la loro esistenza è una prerogativa fondamentale per qualsiasi forma vivente, in quanto forniscono l’energia necessaria per il proprio sostentamento. Per la costruzione di queste strutture, i primi esseri viventi, utilizzavano i tre metodi che vi ho introdotto nel paragrafo precedente. Ma per la seconda volta i foto sintetizzatori comportavano un problema: il solfuro d’idrogeno utilizzato da questi batteri per estrarre l’idrogeno, a un certo punto non fu più sufficiente; dovettero quindi rivolgersi alle molecole di acqua. Naturalmente il legame molecolare dell’acqua è molto più forte di quello del solfuro d’idrogeno, perciò i batteri non furono più in grado di rompere questi legami. In compenso, a risolvere il problema, ci pensarono le alghe verdi-azzurre, inventando un nuova fotosintesi che utilizzava la radiazione solare di frequenza più alta. In questo modo i legami molecolari dell’acqua venivano rotti, e gli atomi di idrogeno potevano essere utilizzati per la costruzione dei carboidrati. Il problema, però, era che il prodotto di scarto di questa reazione comportava l’immissione di grandi quantità di ossigeno nell’atmosfera. L’ossigeno, inoltre, era tossico per la maggior parte delle specie: sorgeva dunque un enorme problema per la sopravvivenza della vita sulla Terra. Infatti molte specie scomparvero, e i batteri dovettero riorganizzarsi rapidamente per poter contrastare questa emergenza. Tutto si risolse quando i batteri verdi-azzurri architettarono il modo per utilizzare il loro prodotto di scarto per poter migliorare l’efficienza del loro metabolismo: inventarono la respirazione. In questo modo tali batteri poterono mantenere l’equilibrio di ossigeno presente nell’atmosfera a livelli stabili, attraverso anelli di retroazione. Infatti le quantità di ossigeno presenti nell’atmosfera dovevano (e devono tutt’ora) rimanere entro determinati valori (circa 21%); altrimenti sopra una certa soglia (25%) tutto brucerebbe, mentre sotto un’altra soglia (15%) niente brucerebbe.

 Fotosintesi clorofilliana

 Molti scienziati, oggi, credono che i primi organismi unicellulari fossero foto-sintetizzatori e non fermentatori (la fermentazione è un processo per produrre energia attraverso l’ossidazione dei carboidrati). Nonostante sia probabile che ci sia stata questa sorta di cibo negli oceani primordiali, è altrettanto probabile che alcuni organismi abbiano iniziato a prodursi il nutrimento da soli. Comunque sia la prima fotosintesi avveniva estraendo l’idrogeno dal solfuro d’idrogeno attraverso l’utilizzo di radiazione elettromagnetica a bassa frequenza. L’energia solare utilizzata, quindi, non era molto elevata, a differenza di quella impiegata nella fotosintesi clorofilliana. Quest’ultimo processo ha origine grazie ad un pigmento verde, presente in alcune specie, e la cui capacità è quella di assorbire l’energia Solare, che arriva sulla Terra sottoforma di radiazione elettromagnetica. La frequenza della radiazione assorbita è molto alta, quindi di conseguenza, l’energia a disposizione per rompere i legami molecolari dell’acqua è molto più elevata.  Grazie a questa energia, l’organismo, scompone la molecola dell’acqua ( H2O) per estrarre l’idrogeno, e la molecola di anidride carbonica ( CO2) per estrarre il carbonio, in modo da autoalimentarsi. Il prodotto di scarto, ovvero l’ossigeno, entra così in circolo nell’atmosfera. In conseguenza a questa produzione di ossigeno, a quel tempo, l’atmosfera sarebbe diventata irrespirabile per gli organismi foto -sintetizzatori, inoltre, senza più co2 l’effetto serra non avrebbe potuto aver luogo, e la Terra si sarebbe congelata. Ma grazie agli organismi fermentatori, che durante il loro processo metabolico producevano come prodotto di scarto la co2, l’equilibrio sul pianeta era di nuovo garantito. Fu comunque grazie all’ossigeno messo in circolo dai foto sintetizzatori, che nell’atmosfera si iniziò a formare lo stato di ozono che rese la Terra un posto molto più abitabile.

 La vita si fa complessa

 Probabilmente ci è voluto quasi mezzo miliardo di anni prima che si passasse dagli amminoacidi ai primi batteri, fatto sta che la complessità del sistema terra ha generato le prime forme di vita pluricellulari e da li l’evoluzione non si è più fermata: è tutt’ora in atto.

 Cellula nucleata

 Un grande passo avanti nella storia dell’evoluzione avvenne circa 2,2 miliardi di anni fa, quando, sulla Terra, apparvero le prime cellule nucleate. La differenza sostanziale tra i batteri e le cellule nucleate risiede nella difesa del DNA: nei batteri, la “molecola della vita” è composta da un singolo filamento che vaga indifeso nel citoplasma, senza la protezione di un solido nucleo; mentre nelle cellule nucleate, l’acido desossiribonucleico, è protetto all’interno del nucleo. Il DNA, infatti, è così importante che l’evoluzione lo ha difeso inserendolo all’interno di solide mura; colui che si occupa di svolgere il lavoro sporco al posto del DNA, è l’RNA, un sosia del acido desossiribonucleico. È evidente, inoltre, che le cellule nucleate presentano al loro interno organuli, che inizialmente erano organismi singoli, e che in seguito si sono uniti alle cellule per simbiosi. Attraverso questo processo simbiotico le cellule nucleate sono diventate più complesse e hanno iniziato a gettare le basi per la costruzione delle prime forme di vita superiori.

Tutto ciò ha un’implicazione profonda nella visione della vita come lotta di classe. Infatti, come è ben radicato negli insegnamenti scolastici e nella cultura generale, la vita presuppone una lotta continua tra organismi che tentano di imporre il proprio dominio. Diciamo che nella cultura generale è ben radicata la credenza che la vita segua le regole della legge della giungla: dagli animali al mondo del lavoro; chi è più forte domina sugli altri. Il fatto, però, che le cellule nucleate si siano evolute grazie alla simbiosi,  presuppone che il progresso sia spesso determinato della cooperazione. Quindi non sempre la natura impone che i sistemi viventi siano in competizione, anzi molte volte la cooperazione è una necessità.

 Volvox: il primo organismo che sa morire

Il Volvox è tutt’ora presente sulla Terra ed è stato il primo organismo ad aver imparato a morire. Nel senso che per la prima volta nella storia dei batteri un genitore si disintegrava in vantaggio del figlio. Questo fatto che può apparire come un errore, è, se riflettuto, una straordinaria invenzione della natura per garantire l’evoluzione e la continuazione della specie. In primo luogo perché le mutazioni genetiche necessarie per l’evoluzione sono più probabili negli organismi vecchi. In secondo luogo, il fatto che il Volvox abbia imparato a morire, è importante perché conclude il ciclo vitale nella sua più profonda essenza: se ogni essere avesse vita eterna dopo un po’ non ci sarebbe più posto per nessuno, la Terra diventerebbe un luogo inabitabile. Inoltre, se ci pensate, la natura delle cose ha le radici nel cerchio: ogni cosa che esiste nel modo è ciclica, la sua essenza trova l’apice nella conclusione di un ciclo. Se la vita fosse lineare ed infinita il cerchio non potrebbe concludersi, non ci sarebbe posto per altri. Il cerchio della vita obbliga ogni individuo a morire, ma non perché il mondo sia ingiusto o perché la vita si prenda gioco di noi, ma semplicemente perché dobbiamo fare posto ad i nostri figli. Il cerchio per sua natura non ha fine, come non hanno fine le nostre vite dopo la morte, per il semplice fatto che ormai facciamo parte della natura. Il nostro corpo vede la sua fine a causa della degradazione entropica, ma questo non è importante, l’importante sono gli insegnamenti che daremo nelle nostra vita, il modo in cui educheremo i nostri figli e quello che gli lasceremo. Per quanto riguarda il corpo, esso è solo una forma di energia e per quanto tale non può essere distrutta: finiremo per alimentare qualche altra bocca e così la nostra energia sarà solo trasportata, non eliminata. Così avviene in ogni specie (tranne in alcuni batteri) e anche noi non facciamo eccezione. Dobbiamo solo prendere consapevolezza della morte e comprendere che per quanto religiosi oppure no, facciamo tutti parte della natura e con lei esisteremo in eterno. Magari in altre forme, ma esisteremo.

L’inizio della respirazione

Circa 400 milioni di anni fa la percentuale di ossigeno presente nell’atmosfera aveva raggiunto livelli molto elevati, così da essere tossico per molte specie. Alcuni organismi, quindi, cercarono un modo per utilizzare l’ossigeno a loro favore, così che, con un evoluzione durata moltissimi anni, alcune specie hanno iniziato ad utilizzare l’ossigeno per la respirazione. L’utilizzo dell’ossigeno permetteva ai fermentatori di ossidare le sostanze fermentate, in modo da ottenere molta più energia. Ciò consenti uno sviluppo molto più complesso della vita.

Lo sbarco sulla terraferma

Sempre 400 milioni di anni fa i primi organismi vegetali sbarcarono sulla terraferma. Come ciò sia avvenuto resta ancora un mistero, anche se probabilmente le maree hanno contribuito in maniera sostanziale. Infatti grazie all’azione gravitazionale della Luna, le acque lasciano periodicamente spazio alla terra in molte zone del nostro pianeta; cosicché alcuni organismi, rimanendo intrappolati nella terraferma, hanno potuto sviluppare dei prototipi di polmoni. In seguito allo sbarco dei vegetali, circa 380 milioni di anni fa, anche i primi animali uscirono dagli oceani per iniziare ad esplorare il mondo emerso. Per quanto riguarda quest’ultimi, molti studiosi sono convinti che l’avvento dei polmoni sia derivato da una malformazione dell’esofago. Probabilmente la causa di queste malformazioni sono state le estroflessioni (ernie) che hanno creato delle sacche in grado di trattenere l’aria. Molti pesci quindi, sono diventati polmonati, oltre naturalmente ad aver acquisito più durezza nelle pinne, in modo da potersi spostare liberamente sulla terraferma. Tra i pesci polmonati e i primi animali a mettere piede sulla terraferma, però, è passato molto tempo. Infatti si crede che i primi esseri, dopo le alghe, a uscire dagli oceani, siano stati dei lontani parenti dei nostri millepiedi. Il loro apparato respiratorio consisteva in molte fessure presenti negli anelli da cui era composto il loro corpo, che, attraverso dei canali, portavano ossigeno a tutte le cellule.

Comunque sia, l’impresa compiuta dalla vita nello sbarco sulla terraferma è stata di incredibile portata. Gli esseri viventi hanno dovuto modificare sostanzialmente molti organi e apparati, comportando una grande sfida per il processo evolutivo, favorita indubbiamente dalla innovazione costituita dal calcio. Tale elemento deve essere mantenuto entro valori precisi all’interno del corpo, per favorire determinati tipi di metabolismo, e per permettere lo sviluppo dei muscoli. Inizialmente gli organismi hanno eliminato il calcio in eccesso comportando la formazione delle barriere coralline; e in seguito il calcio è stato integrato all’interno dell’organismo determinando la formazione di ossa e cartilagini.

I primi rettili

Il passaggio più importante dopo lo sbarco sulla terraferma è stato il passaggio dagli anfibi ai rettili; la cui forza consisteva nell’uovo amniotico. Questo tipo di uovo ha una membrana che inizialmente si trova a contatto con l’embrione, e che successivamente si riempie di liquido amniotico, la cui funzione è quella di non disidratare il piccolo e di proteggerlo dagli urti. In questo modo i rettili poterono avventurarsi nella terra inoltrata, senza correre rischi di disidratazione per i piccoli. Per quanto riguarda gli adulti, essi avevano acquisito un apparato polmonare tale, che gli permetteva di tenere umida la pelle attraverso la respirazione. Tutto questo è la chiara prova che le nostre origini derivano dagli oceani. Il nostro corpo è infatti composto per il 70% di acqua salata, e le nostre donne portano in grembo i nostri figli nella sacca amniotica, i quali passano lo stato prenatale in condizioni analoghe a quelle dei pesci.


L’intelligenza

Secondo il paleontologo Dale Russel i primi cervelli non si trovavano nelle teste degli organismi, bensì nella periferia del loro corpo: probabilmente le cellule a contatto con il mondo esterno hanno iniziato a diventare sensibili agli stimoli. Successivamente attraverso l’evoluzione, queste cellule sensibili, i neuroni, si sono spostati nella parte che esplora il mondo: la testa. A questo punto è apparso il cranio che aveva, e ha tutt’ora, la funzione di proteggere la parte più sensibile del corpo. Il cervello degli animali, infatti, a differenza di come si potrebbe pensare, non è profondamente diverso dal nostro. I meccanismi e le strutture sono identiche, la differenza sta nella complessità, e quindi come abbiamo ripetuto mille volte, nel numero di elementi, ma soprattutto nel numero delle interazioni.

I dinosauri

Per 170 milioni di anni la terra è stata dominata dai dinosauri. Il loro dominio ha evitato l’emergere dei mammiferi, confinandoli al ruolo di piccoli predatori. Probabilmente, questi grossi lucertoloni,  sono diventati molto famosi in conseguenza delle loro enormi corporature. In realtà molti dinosauri avevano le dimensioni di un comune cane, anche se la maggior parte raggiungeva svariati metri di altezza. In particolare la famiglia dei sauropodi, appartenenti al gruppo dei dinosauri verticali, aveva diversi esponenti che spiccavano su tutti gli altri: il Supersaurus raggiungeva i 16-17 metri di altezza per 25-30 metri di lunghezza, l’Ultrasaurus superava i 30 metri e poteva pesare dalle 80 alle 130 tonnellate, e infine il Sismosaurus di cui è stata ipotizzata una lunghezza di 48 metri. La loro grande era di dominio finì 65 milioni di anni fa, quando un grande cataclisma si abbatté sulla Terra. Molte ipotesi sono state proposte per spiegare questa grande estinzione di massa, tra cui i mammiferi mangia uova o le enormi eruzioni vulcaniche, anche se, con pochi dubbi, il dibattito si è chiuso quasi certamente in favore del meteorite che si è abbattuto sulla Terra. Infatti, forti concentrazioni di iridio sono state osservate nell’enorme cratere di 170 km di diametro, nella penisola dello Yucàtan. L’iridio è un elemento che si ritrova in grandi quantità all’interno dei meteoriti o delle comete. Inoltre, nelle stratificazioni risalenti a 65 milioni di anni fa, sono stati ritrovati tracce del solito elemento. Per tutti questi motivi l’ipotesi del meteorite ad oggi è la più sensata. Naturalmente non tutti i dinosauri sono stati abbattuti dall’esplosione del meteorite, infatti, la vera carneficina è stata causata dai forti cambiamenti climatici avvenuti sulla terra in seguito all’impatto. Pochi secondi dopo l’urto un enorme Tsunami uccise tutti i dinosauri presenti nelle zone adiacenti al cratere. Successivamente la polvere e i detriti scaraventati nell’atmosfera, oscurarono l’intero pianeta, impedendo il passaggio della luce solare per diversi mesi. E questa, probabilmente, è la causa principale dell’estinzione.

Il sopravvento dei mammiferi

L’impatto del meteorite non spazzò via la vita dalla Terra definitivamente. Circa il 10% delle specie presenti sul nostro pianeta sopravvissero; anche se una sola classe animale era destinata a prendersi il domino del pianeta.

I mammiferi sono stati confinati nel ruolo di piccoli roditori per milioni di anni, a causa della presenza dei dinosauri. In seguito alla grande estinzione, però, i mammiferi hanno potuto evolversi più grandi e intelligenti; cosicché, con una evoluzione durata decine di milioni di anni, una specie di mammiferi ha evoluto il suo cervello fino ad acquisire la ragione: da quel momento l’uomo ha dominato il mondo, lo ha modificato e lo ha costruito. Abbiamo pensato e agito, grazie alla potenza della nostra mente siamo stati in grado di erigere le piramidi, la muraglia cinese e il Colosseo, ma soprattutto abbiamo costruito la nostra società e grazie ad essa noi non siamo più animali, ma uomini. Ma questa è un’altra storia.

L’uomo

L’avventura evolutiva degli esseri viventi, 4 milioni di anni fa, raggiunse un cambiamento radicale. I mammiferi che avevano preso il sopravvento in seguito all’estinzione dei Dinosauri, diventarono bipedi e iniziarono a camminare in maniera eretta. La prima specie classificata con queste caratteristiche è l’Australopithecus: una scimmia antropomorfa che 3 o 4 milioni di anni fa si evolse nelle prime specie di Homo. Da quel momento in poi la corporatura degli individui si fece sempre più robusta e la corteccia celebrale iniziò a svilupparsi in maniera irreversibile. Il fatto, inoltre, che questi mammiferi avessero due arti liberi, permise loro di sviluppare la capacità di utilizzare utensili e strumenti, in modo da sviluppare una complessa corteccia celebrale. La prima specie di Homo conosciuta, prende il nome di Homo Abilis, seguita a ruota dall’Homo Erectus. Questa specie possedeva (probabilmente) la capacità di controllare il fuoco, già 1.4 miliardi di anni fa. Homo Erectus fu la prima specie ad abbandonare le calde terre tropicali, per dirigersi più a nord, dove la temperatura era decisamente più fredda. Infatti il periodo della comparsa delle prime specie di Homo, combacia precisamente con l’epoca delle glaciazioni. Durante quel periodo si svilupparono specie come i Mammut, bisonti e molti animali dalle caratteristiche necessarie per il sostentamento dal freddo. L’Homo Erectus riusciva a sopravvivere in quelle condizioni grazie all’utilizzo dell’intelligenza; riusciva a costruire sassi a punta per la caccia, si scaldava con il fuoco, produceva  pellicce e viveva nelle caverne. Intanto tra 400.000 e 250.000 anni fa l’Homo Erectus si stava evolvendo in Homo Sapiens (la nostra specie), e distintamente nell’Homo di Neanderthal nelle zone europee. In questo modo si formarono due gruppi distinti di specie appartenenti allo stesso genere. Il fatto, però, che l’Homo sapiens permane tutt’oggi con la popolazione umana, mentre l’Homo di Neanderthal si estinse circa 40.000 anni fa, denota un cambiamento radicale nelle zone dei Neanderthal. Come questo sia successo resta tutt’ora un mistero, anche se probabilmente, l’estinzione, è stata determinata dalla forte attività vulcanica che sconvolse il clima europeo, proprio in quel periodo. Fatto sta che il processo evolutivo ha portato i primi ominidi a diventare quello che noi siamo oggi.   

La caratteristica peculiare dell’uomo

La caratteristica peculiare emersa nell’uomo, è la sua capacità di fare distinzione tra il bene e il male; tra giusto e sbagliato.

Probabilmente la formazione di una mente complessa in grado di risolvere problemi e di porsi quesiti, deriva da una mutazione nella tempistica del parto. Se si osservano tutte le specie animali si può notare che i neonati hanno già la facoltà di muoversi e di gestire le prime situazioni. Naturalmente tutti i piccoli appena nati hanno bisogno degli insegnamenti delle madri, ma le caratteristiche fisiche necessarie per il proprio sostentamento sono già sviluppate. Nel parto umano, i bambini nascono totalmente inermi, e non sono in grado di svolgere nessun tipo di azione. È come se i piccoli della nostra specie nascessero prematuri. Quindi, probabilmente, la tempistica del parto ha subito una mutazione in seguito alle nascite premature di alcuni piccoli, in epoche lontane, risalenti all’era dell’homo australopiteco. Queste nascite premature hanno consentito ai geni mutati nel DNA dei figli, di andarsi ad unire ai geni di soggetti nati non prematuramente. Ciò, nel corso di milioni di anni, ha portato a diventare regola, un eccezione. Cosicché nella nostra specie, tutti i piccoli nascono relativamente prematuri. Tutto ciò porta a fare diventare necessaria un’utilizzazione della coscienza in senno alla cura della prole. Le madri hanno dovuto sviluppare una capacità mentale in grado di sostenere i figli nei primi anni di vita. Di conseguenza gli uomini della nostra specie hanno dovuto iniziare a proteggere il proprio nucleo familiare, così da formare una capacità di prendere decisioni molto più complessa delle altre specie. In questo modo si sono iniziate a formare le prime società basate sulla famiglia, e l’evoluzione di questi ominidi ha portato alla nascita dell’uomo moderno.  


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