mercoledì 13 aprile 2011

Qualunque cosa dal falso

Rimanendo in tema con il precedente articolo nel quale ho parlato della "Critica della ragion pura" di Kant devo fare delle considerazioni riguardo al mio libro. Tutti sappiamo che il pensiero si evolve e per ironia della sorte pochi giorni dopo aver stampato il mio libro sono incappato in alcune letture le quali smontavano alcuni punti cardine del mio pensiero, anche se lasciavano intatto il significato più profondo. Nel libro ho dimostrato in termini molto semplici che non è possibile dimostrare la non esistenza di Dio. Il che rimane comunque un punto fermo. Il problema sta nel fatto che nel libro parlo di scienza e di Dio senza distinguerli, anzi facendoli interagire. Kant nel 1781 con il suo libro smontò  l'idea che Dio e scienza siano compatibili. Egli era convinto che quando si parla di Dio, dell'anima, del mondo etc. si finisce per incorrere nelle antinomie della ragion pura e quindi di cadere in contraddizione. L'antinomia è un tipo di paradosso che indica l'esistenza di due affermazioni contraddittorie ma che possono essere entrambe giustificate. Allora seguiranno tre tipologie di pensiero: colui che non accetta la contraddizione e rimarrà razionale, colui che accetta la contraddizione e abbandona la ragion pura e colui che fa finta che non vi sia contraddizione e mette sul solito piano Dio e scienza. Quindi io con il mio libro farei parte dell'ultima tipologia. Sorge però un altro problema ovvero che quando si parla di vero o falso non si possono accettare contraddizioni, infatti secondo la legge "qualunque cosa dal falso" accettando anche una sola contraddizione si può dimostrare qualsiasi cosa. Kant in pratica voleva dire che quando si parla di logica e di razionalità si deve tener fuori Dio, mentre se si vuol parlare di Dio va benissimo, purché si sappia che il discorso non sarà scientifico, ma comunque bello, commuovente, spirituale e quant'altro. Con questo post non voglio far dubitare della propria fede, voglio semplicemente far capire quello che anch'io ho fatto fatica a comprendere, ovvero che quando si parla di fede dobbiamo essere consapevoli di farlo in modo poetico anche se nulla toglie che questo sia il linguaggio in cui si esprime Dio, per quanto ne sappiamo non esiste una equazione della felicità.

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